Alberico da Barbiano

Alberico da Barbiano detto “Il Grande” fu fra i più noti condottieri del XIV secolo e certamente il più dotato di capacità strategiche e il meno incline alla brutalità violenta che contrassegnò quell’epoca.
Famoso per aver creato la prima Compagnia di Ventura italiana: La Terza Compagnia di San Giorgio nel 1377.

GIOVENTÙ E NASCITA DELLA COMPAGNIA

Nato a Barbiano di Cotignola verso il 1344, Alberico già in adolescenza mostrò quel carattere ardito ed orgoglioso che lo indusse presto a lasciare gli studi e, a soli sedici anni, prender parte al conflitto familiare con i Visconti per il controllo di Zagonara, poi risolto dal Rettore ecclesiale romagnolo Daniele del Carretto.
Nel 1376 si trovava al seguito dell’inglese John Hawkwood (italianizzato come Giovanni Acuto) che operava in Romagna al servizio della Chiesa e con lui e con le bande bretoni era al sacco di Faenza, e l’anno dopo alla repressione della sollevazione di Cesena. A causa di ciò che vide durante tali eventi nacque in lui un senso di disgusto verso le barbarie perpetrate dai capitani di ventura e le compagnie straniere, e decise quindi di creare una compagnia tutta italiana: il nucleo era dato dalla gente dei suoi feudi e della sua straziata Romagna, ma ad essa si aggiunsero Italiani d’ogni regione, prima mescolati in piccoli gruppi nelle grandi compagnie straniere. Sorse così la Compagnia di San Giorgio, dal nome dell’ufficiale dell’esercito romano, martire sotto Diocleziano, divenuto il patrono dei cavalieri. Si ha così il nucleo delle nuove compagnie di ventura italiane, destinate a soppiantare, in poco più d’un ventennio, le compagnie straniere prevalenti nella nostra penisola da una quarantina d’anni: i cavalieri si sentivano legati al loro capo, un profondo spirito di corpo pervadeva le nuove unità, tattiche e organiche al tempo stesso, i rischi affrontati insieme e le comuni vittorie aumentavano la coesione; i combattenti della compagnia sentivano di formare un’aristocrazia delle armi e del valore.
Altro merito che gli si attribuisce consiste nell’ammodernamento delle tecniche militari della cavalleria, impegnata in cariche offensive fondate su attacchi rapidi e violenti: Alberico modificò le armature, adottando la ventaglia e il collare a protezione del collo del cavaliere; aggiunse all’elmo la visiera; trasformò le barde dei cavalli in autentiche coperte d’acciaio a copertura delle zampe fino al ginocchio, munendone il muso con spuntoni letali nelle attività frontali.

LA BATTAGLIA DI MARINO

Papa Urbano VI

Nell’estate del 1378 Alberico era assoldato da Bernabò Visconti per combattere gli Scaligeri, e nel marzo del 1379 portava sul Po la sua compagnia, chiamato a Roma dal nuovo Papa Urbano VI, che aveva da poco emanato la Bolla contro la Regina Giovanna I di Napoli, partigiana dell’Antipapa Clemente VII.
Presso Marino il 29 aprile Alberico riportava contro i Bretoni, assoldati da Clemente VII, una famosa vittoria: più che tattica nuova, un ritorno, alla forma della vecchia battaglia del periodo comunale, con azione coordinata di cavalieri e fanti. La sua avanguardia di cavalleria fu respinta e si trovò la retrostante massa dei balestrieri e pavesati romani; Alberico attaccò allora da destra e da sinistra cogliendo di fianco e alle spalle i cavalieri nemici, uccidendone molti e facendone prigionieri molti altri.
Egli entrò trionfante a Roma acclamato da una moltitudine di persone; il Papa, recatosi incontro al vincitore a piedi nudi, lo nominò “Cavaliere di Cristo” e gli conferì solennemente nella Basilica di San Pietro un grande stendardo bianco attraversato da una croce rossa, recante il motto dorato “LIIT-AB-EXT” (“Italia ab exteris liberata” – l’Italia liberata dai Barbari). Venne inoltre nominato senatore dello Stato Pontificio.
La battaglia di Marino fù la vittoria più famosa di Alberico.

CONSEGUENZE DELLA BATTAGLIA DI MARINO E IL PERIODO AL SOLDO DEI VISCONTI

Giovanna I di Napoli

Dopo la solenne accoglienza, il Pontefice manifestò il proposito di pareggiare i conti alla sovrana partenopea ed al coniuge Ottone IV di Brunswick-Grubenhagen: offerto il trono di Napoli al Conte d’Angiò Carlo di Durazzo, acquartierato a Treviso con truppe di Ungari, incaricò Alberico di scortarlo attraverso la Toscana e l’Umbria. Lungo il percorso vennero contrastate con successo azioni di John Hawkwood.
Carlo di Durazzo intanto fu incoronato a Roma.
Nel frattempo, nel 1380, Alberico raggiunse la Toscana su invito dei Fuoriusciti di Firenze che, invece, gli oppose la Compagnia di Konrad Wirtinger von Landau (italianizzato Conte Lando).
Il primo aprile, la formidabile Compagnia di San Giorgio fu battuta a Malmantile, in località Gonfolina: il Capitano fu costretto a ripiegare su Lucca e ad arretrare in Maremma.
Parallelamente, il nuovo sovrano partenopeo marciava contro la Regina ribelle.
Nel perdurare della campagna armata, Alberico sconfisse il vecchio maestro John Hawkwood; il 18 giugno del 1381 annientò i Tedeschi comandati da Ottone IV di Brunswick-Grubenhagen e, entrato in Roma l’11 settembre quale referente della Corona partenopea, il 26 agosto successivo fu grandiosamente accolto in Napoli.
La Regina Giovanna, assediata a Castel Nuovo (noto come Maschio Angioino), si arrese il 20 agosto: arrestata, fu trasferita dapprima in Abruzzo e poi deportata a Muro Lucano, dove fu poi assassinata il 27 luglio del 1382.
Nel novembre del 1381, fiancheggiato dalla Compagnia dell’Uncino del marchigiano Villanuzzo da Roccafranca e da folti gruppi di Bretoni e Ungari una volta sedata la rivolta di Arezzo, Alberico entrò in Romagna per fermare l’avanzata di Luigi I d’Angiò deciso a soccorrere la Sovrana prigioniera.
Dopo un vano tentativo di fermarlo a Forlì e a Cesena, le truppe albericiane dovettero arretrare nel territorio del Regno, mentre l’Angioino, acquartieratosi a Maddaloni il 30 ottobre, si spostava prima in Molise e poi in Puglia infine spingendosi a Taranto, dove fu stroncato dalla peste.
La sua morte sancì la fine del conflitto.

Carlo di Durazzo – Re di Napoli

Grato per la fedeltà manifestata, Carlo di Durazzo nominò Alberico Maximus Conestabilis Regni Siciliae.
Nel 1385 liberò assieme al fratello Giovanni la sua città natale, Barbiano, che era stata occupata dai bolognesi di Giacomo Boccadiferro approfittando della morte di Alidosio I, padre di Alberico.
In piena estate Alberico fu richiamato e, nel settembre, si imbarcò con Re Carlo a Manfredonia per partecipare alla campagna d’Ungheria contro Luigi d’Angiò.
Accadde però che il Re fu assassinato il 3 giugno del 1386 e che la sua vedova, Margherita, assunta la reggenza per il minore erede Ladislao, scappasse a Gaeta.
Nel 13 luglio del 1387 Alberico scese in campo in difesa dei diritti di Ladislao, minacciati da Urbano VI che, da Nocera, lo anatemizzò estendendo l’interdizione anche su Napoli e riuscì poi a fuggire solo grazie all’aiuto di Raimondo Orsini del Balzo.
La cattura di Francesco Moricotti, nipote del Papa, accentuò le ostilità e spianò la via ufficialmente alla guerra fra Durazzeschi ed Angioini.
Nell’inverno del 1389, ospiti della Corte insediata a Gaeta, Otto von Brunswick e John Hawkwood progettarono la vana riconquista di Napoli, muovendosi nel successivo aprile.
Parallelamente il Gran Connestabile assumeva la Signoria di Trani e Giovinazzo e il ruolo di vice Reggente della Calabria ove conseguì rilevanti successi di campo bellico.
Nel 1392, pertanto, la Corte decise di intensificare l’azione bellica e Ladislao si pose a capo delle truppe accanto al Brunswick, per invadere Puglia e Abruzzo.
I risultati furono drammatici: il quartier generale durazzesco di Ascoli fu assaltato a sorpresa il 24 aprile e Alberico fù preso prigioniero e si riscattò previo impegno a non imbracciare la armi per i successivi dieci anni.
La pace fu formalizzata dal nuovo Papa Bonifacio IX, che consacrò Re Ladislao.
Alberico, allora, mosse verso la Lombardia, chiamato da Gian Galeazzo Visconti che, versati trentamila scudi per i suoi servigi fino a tutto il gennaio del 1403, aveva ingaggiato anche Jacopo dal Verme: nel 1397, fiancheggiato dal fedele germano Giovanni e con Jacopo, egli irruppe in Firenze sotto le insegne milanesi e ne annientò l’alleato Francesco I Gonzaga a Borgoforte.
Nel frattempo morì John Hawkwood a cui era subentrato il guascone Bernardo di Serres.
Col parmense Ottobuono de’ Terzi, con i perugini Ceccolino e Biordo Michelotti, con i romani Paolo Orsini e Paolo Savelli, Alberico si portò sotto le mura fiorentine ma, a sorpresa, l’Orsini e i Michelotti e lo stesso Giovanni da Barbiano, allettati dalle offerte della repubblica, passarono al servizio dei Bolognesi e, anche a causa dell’assenza del dal Verme, i Viscontei furono sconfitti a Governolo.
Richiamato in Lombardia dal Visconti per collegarsi nel mantovano con Jacopo dal Verme, si avvicinò a Mantova distruggendo le opere difensive del serraglio. Il sopraggiungere del freddo ed il cattivo tempo lo indussero a fermarsi a Marcaria.
Poco prima dell’attacco finale a Mantova, il Visconti si accordò però con Francesco I Gonzaga, per cui il conflitto ebbe termine. Alberico ripiegò a Napoli.

LA MORTE DEL FRATELLO E IL CONFLITTO CON MANFREDI

Nel 1399, mentre si trovava nel Regno di Napoli, Alberico ricevette la notizia della morte del fratello Giovanni, impiccato in piazza a Bologna per crimini di razzia e strage. Alberico dichiarò così guerra al faentino Astorre I Manfredi, responsabile dell’esecuzione del fratello, attaccando Faenza nell’ottobre dello stesso anno e conducendo un lungo assedio alla città assieme a Pino II Ordelaffi.
Si alleò con il signore di Bologna Giovanni I Bentivoglio al fine di combattere il Manfredi. Il Bentivoglio si accordò, invece, con il Manfredi: il Barbiano fu in tal modo costretto a levare l’assedio da Faenza che stava per concludersi in modo positivo.
Adirato dal tradimento, invase il Bolognese e cominciò una lunga guerra contro il Bentivoglio e il Manfredi. Nel 1402 partecipò alla Battaglia di Casalecchio, che segnò la presa di Bologna da parte di Gian Galeazzo Visconti. Il duca di Milano venne acclamato signore della città, ma morì pochi mesi dopo di peste.
Nel 1403 Papa Bonifacio IX nominò legato per Bologna e la Romagna il cardinale Baldassarre Cossa, affidandogli l’incarico di recuperare i territori perduti dalla Chiesa.
Alberico, capitano delle milizie pontificie in Romagna, ne approfittò per assaltare Faenza. Astorre I Mandredi venne costretto alla resa e a cedere Faenza alla Chiesa. Poi partì per l’esilio a Rimini (1404).
Nel 1405 attaccò un carico di grano diretto a Bologna, acquistato proprio dal cardinale Baldassarre Cossa: l’atto provocò la scomunica e la revoca papale della toga senatoria.

Ladislao d’Angiò-Durazzo – Re di Napoli

Alberico avrebbe certamente reagito, se non fosse stato di nuovo allettato dalle promesse di Ladislao di Napoli, pronto ad una spedizione armata umbro/toscana.
Tornato a servire il Regno partenopeo e conclusa una alleanza con Antonio II da Montefeltro, definì Alberico Intimus Regiae Maiestatis nel febbraio del 1406. Come consigliere della Corona partecipò alla campagna contro Taranto e, il 26 aprile del 1409, si dispose all’attesa del suo Re quando, a Castello di Pieve del Vescovo, un’infezione renale lo stroncò.
La causa e la data corretta della sua morte sono tuttavia incerte: alcune cronache collocano il suo trapasso alcuni anni prima rispetto alla data canonica del 1409, confermata invece da Ludovico Antonio Muratori e da Luigi Baldisseri, uno storico locale. Anche sul giorno e sul luogo della morte non sembra esserci univocità: mentre il Muratori propende per il 26 aprile, il Baldisseri, citando un atto del Re di Napoli Ladislao d’Angiò-Durazzo, datato 12 maggio e conservato, a suo dire, nell’Archivio di Stato di Napoli, pone la morte del condottiero l’11 maggio, a seguito della conferma del suo testamento avvenuto il giorno successivo. Il condottiero, infatti, sempre secondo il Baldisseri, sarebbe morto in Etruria mentre si trovava accampato vicino a Cortona, ove apprese la notizia di una nuova rivolta, questa volta nella sua terra natia.
Alberico, già soffrente per una pielonefrite (mal di uretra), non fece mai ritorno nella sua Romagna. Il suo corpo fù traslato nel vicino Castello di Pieve del Vescovo, presso Perugia.

CURIOSITÀ

– A Mantova, nella Caserma San Martino, sede del 4° reggimento Artiglieria Controaerei “Peschiera”, è presente un busto bronzeo di Alberico da Barbiano.
– L’Alberico da Barbiano fu un incrociatore leggero della classe Alberto di Giussano della Regia Marina varato nel 1930 e affondato in battaglia nel 1941.

FONTI:

a cura di Michele Pighi