Coloro che lavorano: i contadini
Il lavoro dei contadini dipendeva dai mezzi di cui disponevano e dalle condizioni climatiche; altre cose importanti erano la scelta delle coltivazioni in base alla stagione e la scelta del terreno in base alla sua fecondità. Un primo problema erano le arature, le sementi e i raccolti. In epoca Carolingia (751-987) gli strumenti erano pochi: falci, falcetti e pale ferrate. L’introduzione di altri strumenti: mulino, torchio, frantoio… facilitò la vita quotidiana del contadino; anche l’uso della forza motrice fornita dagli animali da tiro fu facilitata dalle nuove tecniche. Un secondo problema del lavoro del contadino era quello di far riposare il terreno in modo che recuperasse la sua fertilità. Per rendere più corto questo periodo e per rendere il terreno più fruttuoso il contadino cercava di aiutare la natura aggiungendo del letame o sotterrando delle foglie e facendo pascolare i greggi sui terreni a riposo. Gli animali allevati dal contadino nel Medioevo non erano molto differenti da quelli attuali. Il bestiame grosso era raro: pochi cavalli, pochi buoi oltre a quelli per trainare l’aratro, qualche vacca giusto per assicurare la riproduzione.
Durante tutto il Medioevo i centri abitati erano sparsi e di modeste dimensioni. In principio non erano veri e propri villaggi, ma col passare del tempo si è attuata una trasformazione attorno a tre poli: il castello, la cinta paesana e la chiesa parrocchiale. Il castello doveva proteggere la abitazioni raccolte attorno alla sua altura e le chiudeva nella rete dei suoi poteri signorili. Le cinta paesane, potevano stare ad indicare la volontà dei paesani di raggrupparsi in un centro determinato. La rete delle chiese parrocchiali era solidamente fissata. I cimiteri e i momenti di preghiera contribuivano a riunire i fedeli. La consolidazione di questi tre poli ha portato l’agricoltura estensiva, praticata su grandi superfici, ad avvicinarsi a quella intensiva e sedentaria, che puntava a sfruttare al massimo la capacità produttiva di una minima parte del terreno. Le ripercussioni di questi cambiamenti sono fondamentali: gli uomini legati da soli vincoli di sangue hanno dovuto imparare a vivere assieme e a comportarsi come vicini, formando così una nuova rete d’obblighi: la pace.
L’agglomerato cittadino poteva avere varie forme e la sua distribuzione urbana poteva variare di zona in zona. Solitamente le case erano disposte senza un ordine preciso attorno alla piazza principale dove era ubicata la chiesa parrocchiale. I materiali per fare le case erano la pietra, l’argilla, ma soprattutto il legno ricavato dalle foreste vicine. La loro vita quotidiane e quella annuale era scandita dal tempo della natura e dall’alternarsi delle stagioni. Anche la vita religiosa era molto importante ed erano presenti molte feste che portavano allegria in quella loro vita che poteva sembrare monotona e triste.
La società contadina si divideva in varie categorie. Fino all’epoca carolingia c’erano gli schiavi rurali. Questi erano privi di qualunque libertà e vivevano vicino al centro di sfruttamento dove risiedeva l’amministratore. Oltre a loro c’erano anche i contadini schiavi veri e propri, i quali potevano essere venduti e il padrone ne era il responsabile e ne giudicava il talento; non potevano prestar giuramenti, perché in caso di spergiuro avrebbero rischiato la mutilazione e quindi avrebbero rovinato il padrone, non potevano farsi preti o sposarsi senza il permesso del padrone, non potevano prestare servizio militare, né far parte dei tribunali. Comunque anche tra tutti questi schiavi rurali vi erano delle distinzioni: gli schiavi ai tempi dei Merovingi (480-751) o Carolingi (751-987) erano concentrati attorno alla casa dei signori; schiavi sistemati, cioè i possessori di un loro pezzo di terreno, che 2 o 3 volte la settimana avevano vita autonoma sul loro pezzo di terreno; schiavi dei paesi mediterranei il cui prezzo era molto elevato e il padrone se ne serviva isolatamente e non li opprimeva col lavoro, erano più che altro dei domestici. Col passare del tempo si andò a formare un ceto di contadini di classe sociale media, con una vita più agiata dei servi e degli schiavi rurali.
Coloro che combattono: i cavalieri
La classe dei cavalieri si può dire nata dal feudalesimo, che legava un signore con i sui vassalli. Non c’erano solo obblighi materiali, ma anche un forte vincolo morale, rappresentato dalle cerimonie dell’investitura e dell’omaggio. Queste consistevano nel donare al vassallo un simbolo del feudo o chiedergli di prestare giuramento. L’aiuto era soprattutto inteso come sostegno militare; in particolare era una specie di lavoro per i cavalieri che dedicavano la loro intera vita all’esercizio delle armi. Un po’ alla volta questi cavalieri si fusero con l’antica nobiltà carolingia perché ne condividevano i privilegi: guerre, ozi, potere sui contadini e la coscienza di discendere da un antenato divino ed eroico, che aveva fondato la nobile casa. Così si è costituita quella che fu chiamata nobiltà medievale, che trasmise la sua condizione per via di sangue.
La nobiltà si distingueva dagli altri per il genere di vita, per una mentalità particolare, per l’habitat, per gli abiti lussuosi, per la l’alimentazione abbondante, per la vita di relazione, per la vita di corte, per i sentimenti, per la forza dei legami familiari e per le loro occupazioni.
L’Occidente si era rivestito di castelli a causa delle invasioni e dell’anarchia locale. I signori di media potenza si facevano rialzare una collina naturale dai contadini o addirittura creare una collinetta, poi vi facevano costruire una torre di legno, un modesto castello protetto da un fossato, da una palizzata e da una scarpata. Questi castelli erano molto somiglianti ai castelli feudali, però, mentre il castello di pietra costosissimo da costruire era molto raro, l’altura coronata da una torre era molto comune. Due aspetti in particolare accomunano i due castelli: primo erano residenze permanenti concepite per la difesa; secondo, era usata come abitazione dal signore e quindi comportava la presenza di una sala dove sedeva il signore per amministrare la giustizia, ricevere ospiti, banchettare, e di una o più camere. Al di fuori delle cinta c’era il frutteto dove il signore passeggiava e dove le dame incontravano i loro innamorati.
Tra i nobili il matrimonio era spesso il risultato di un’intesa di lignaggi: il signore poteva maritare le ereditiere minorenni con un candidato di sua scelta e dare il suo parere sul matrimonio di una vassalla o di un vassallo.
La principale funzione era quella di combattere e per prepararsi alla guerra praticavano degli sport violenti. La caccia era un’eccellente esercizio perché si andavano ad uccidere animali feroci e poi forniva alla tavola del cavaliere una ricca dieta di carne. La caccia comunque non era l’unica attività: i nobili seguivano anche dei corsi di equitazione o facevano delle lunghe passeggiate a cavallo per il solo piacere. Il principale addestramento però si faceva nei tornei o nelle giostre. Questi spettacoli riunivano il fiore della cavalleria: una fiera permetteva a tutti i nobili presenti di far mostra della loro generosità. Gli spettatori si ammassavano in palchi circondati da lizze di legno o da campi dove si affrontavano i campioni.
Coloro che che pregavano: i chierici
Degli aspiranti alla perfezione molti fanno vita solitaria, e gli eremiti casti, poveri e umili che popolano i terreni boscosi sono ben noti a contadini che spesso li cibavano, dai viandanti i quali venivano accolti nelle loro dimore, dai cacciatori che passavano spesso vicino alle loro capanne e dagli innamorati che rinunciavano temporaneamente al mondo esterno. Molti altri aspiranti alla perfezione vivevano in gruppo in una casa comune secondo le prescrizioni di regole e sotto la guida di un capo. Alcuni di questi avevano abbracciato la condizione perfetta delle regole, altri invece erano stati ordinati sacerdoti ma nessuna regola imponeva che fossero obbligatoriamente ordinati. Il capo della comunità era l’abate ed aveva una larga giurisdizione sui professi e sugli altri; gestiva il potere temporale, spesso considerevole, e godeva di una posizione preminente e si faceva aiutare da tutto uno strato maggiore di familiari. La vita quotidiana di questi religiosi dipendeva da un lato dalla regola adottata, dalla sua applicazione, e dall’altra parte dalla situazione locale del monastero.
La stretta gerarchia che reggeva il clero occidentale derivava in gran parte dalle strutture amministrative del basso Impero, cioè da quelle che il Cristianesimo ha conosciuto quando si era impiantato nel mondo Romano. Il sacerdote dipendeva da colui che vegliava sulla metropoli. Col progresso della cristianizzazione e della conversione degli elementi rurali, il vescovo non era stato più l’unico sacerdote della città: era stato circondato da un certo numero di chierici che stavano intorno a lui. Da questo, intorno alla città episcopale, si erano create le nuove cellule episcopali della cristianità occidentale: le parrocchie. Col progresso dei dissodamenti e la crescita della popolazione, una parrocchia troppo grande si divideva in nuove parrocchie; il primitivo parroco diventava allora un decano e aveva un certo diritto di sorveglianza sui suoi nuovi vicari. Parecchi decani si riunivano in un arcidiaconato e parecchi arcidiaconati formavano una diocesi.
I chierici avevano chiuso tutta la società nella rete della loro stretta gerarchia, nell’osservanza obbligatoria di un certo numero di riti e prescrizioni. La Chiesa aveva il diritto di giudicare in parecchi casi i cristiani e in tutti i casi i chierici. Questo tribunale era diverso:
- in primo luogo la chiesa giudicava in Foro interno: era censore implacabile di tutti i peccati commessi e rimetteva parte della pena dovuta per questi peccati in cambio di una penitenza proporzionata alla loro gravità. In certi casi il vescovo il legato, colui che rappresentava il Papa in una delle circoscrizioni dello Stato Pontificio, o il Papa potevano lanciare una scomunica contro il colpevole, il quale era escluso dalla Chiesa e dalla società, poiché privato di tutti i sacramenti che ne sono il fondamento e di ogni contatto con gli altri cristiani.
- In secondo luogo il Foro esterno che si occupava delle cause personali o reali: le cause reali erano tutte quelle che riguardavano i sacramenti, i delitti relativi allo spirituale, i testamenti, parecchi giuramenti o impegni, i beni della chiesa, i benefici; le cause personali erano tutte quelle legate ai chierici o alle persone ad esso assimilate. Si capisce quindi che gran parte dei processi erano sottratti alla giustizia civile e portati direttamente davanti al vescovo o al giudice vescovile.
I beni della Chiesa non erano tutti luoghi d’asilo riconosciuti: alcuni erano dei feudi il cui possessore era la Chiesa, ma il proprietario era un signore laico; quindi bisognava che quest’ultimo deliberasse sulla qualità del bene prima che si sapesse se il Foro poteva esserne investito. Altrettanto accadeva per le decime o per i giuramenti perché se prendere a testimoni Dio e i santi avrebbe dovuto normalmente comportare la competenza del Foro, il fatto che un tale giuramento fosse alla base dei vincoli della feudalità avrebbe comportato la competenza della Chiesa. Molti contratti erano passati per volontà dei due contraenti al giudice del tribunale vescovile. A questo modo non solo l’ordine dei chierici era nettamente distinto dal resto della società cristiana per i suoi privilegi, ma controllava efficacemente attraverso il Foro esterno e interno, l’essenziale delle sue attività.
FONTI:
- “La vita quotidiana nel Medioevo” di Robert Delort
A cura di Andrea Venco