L’arte di curare ha fatto parte della vita dell’uomo dal momento stesso della sua comparsa sulla Terra. I tentativi di alleviare le proprie o le altrui sofferenze fa parte dell’autoconservazione ed è un istinto atto a preservare la presenza della specie. Con il progredire delle conoscenze e delle tecnologia a disposizione, i rimedi sono diventati sempre più specifici e a diffusione sempre più ampia, fino ad arrivare alla teorizzazione dei suoi effetti paradossi e l’introduzione della cosiddetta “medicalizzazione della società”.
Essendo espressione della mentalità dell’uomo che la pratica, l’arte medica risente sia delle conoscenze disponibili, ma anche, in maniera spiccata, del background socio-culturale dell’epoca presa in considerazione.
Nel Medioevo, dalla suddivisione storiografica, possiamo riconoscere due periodi principali: Alto e Basso Medioevo rispettivamente dal 476 d.C. al 1000 d.C. e da questa data fino al 1492 d.C.; durante questo ampio arco temporale si può osservare una tale modifica della pratica dell’arte medica da poterli considerare, a tutti gli effetti, due periodi storici completamente diversi. L’evoluzione dell’insegnamento strutturato nelle Universitas Studiorum e la diffusione delle traduzioni dei testi arabi collabora, con il passare delle decadi, ad una profonda trasformazione dell’Ars Medica. Si passa infatti da una trasmissione per lo più orale di erbari e almanacchi, con la descrizione sommaria di malattie e medicamenti, ad una valutazione sempre più “oggettiva” dell’uomo malato, che strizza l’occhio al descrittivismo anatomico del “vicino” Rinascimento con la macchina-uomo messa al centro dell’indagine.
Tale visione è riscontrata ad esempio nel Anothomia di Mondino dei Liuzzi (1316), nel quale decine di tavole illustrate mostrano spaccati anatomici fedelissimi e tecniche settorie quasi sovrapponibili a quelle utilizzate oggi.
Complessivamente possiamo considerare che rimedi precisi e soprattutto standardizzati non erano particolarmente diffusi, ma vi era una certa maestria nel trattamento delle ferite e delle fratture, cosa assai utile viste il perpetuo stato di guerra vigente.
Da un punto di vista filosofico è interessante notare quale fosse la valenza della “malattia” all’interno del corpus delle convinzioni di quel periodo.
Specialmente nell’Alto Medioevo era evidente una forte commistione ontologica tra la manifestazione fisica “malattia” e il “peccato” come danno morale e spirituale.
Si reputava infatti che la malattia, sulla scorta di ciò che è presente nella religione giudaico-ebraica, fosse segno manifesto di una infrazione alla legge divina. (Cfr. Sir 38, 1-15 “Chi pecca contro il proprio Creatore cada nelle mani del medico.”) Seguendo gli insegnamenti della Chiesa si riteneva che Dio, talvolta, inviasse malattie come punizione e che, in questi casi, solo il pentimento e l’assoluzione del peccato commesso potessero portare alla guarigione.
La malattia quindi era spesso considerata come inviata da Dio e per questa si invocava il motto Christus medicus: Cristo era il vero medico e la terapia era la redenzione (Cfr. Gv 9,1-3 “E passando, vide un uomo cieco fin dalla nascita. E i suoi discepoli gli domandarono: “Maestro, chi ha peccato lui o i suoi genitori, per essere nato cieco?” Rispose Gesù: “Né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è così, perché si manifestino le opere d’Iddio””).
D’altro canto l’introduzione di un carattere morale e religioso all’interno di quella che era la medicina “classica”, cioè del mondo antico, modifica radicalmente l’animo dell’arte medica, caricandola di un valore caritatevole che non possedeva affatto. Con il monito evangelico della parabola del “Buon samaritano” essa diventa un mezzo per mettere in pratica una delle virtù caratteristiche della religione: la carità e l’amore del prossimo. Si ha così il sorgere della “medicina sociale” con la istituzione di ospedali, ospizi e di soccorsi per chi ne avesse necessità.
Per quanto riguarda invece il corpus di conoscenze e le teorie che erano alla base della pratica medica, una delle più accreditate era quella che considerava che in ogni uomo si trovassero quattro “umori”, o fluidi principali: bile nera, bile gialla, flegma e sangue, prodotti da vari organi del corpo. Secondo tale dottrina una persona, per essere in buona salute, doveva avere un perfetto equilibrio di questi elementi: per esempio troppo flegma nel corpo causava problemi ai polmoni, il corpo tossiva e cercava di buttar fuori il flegma per ristabilire l’equilibrio. L’equilibrio degli umori negli esseri umani poteva essere raggiunto con la dieta, le medicine che erano fondamentalmente a base di decotti di erbe, ed il salasso con le sanguisughe. L’uso delle erbe a fini curativi si incastonava perfettamente in questo sistema organizzato, per cui il successo dei rimedi con le erbe era ascritto alla loro azione sugli umori del corpo ed al loro ribilanciamento.
Tali dottrine venivano insegnate e tramandate nelle università e si andava via via creando un corpus di letture che costituivano il sapere del medico. Nelle Universitas più avanzate, come la Scuola Medica di Salerno, accanto ai capolavori degli autori classici si inserivano testi più aggiornati provenienti dal mondo arabo; tra questi il testo più influente fu il Canone della medicina di Avicenna, un’enciclopedia medica scritta all’incirca nel 1030, che sintetizza la medicina greca, l’Ayurveda e la medicina islamica che è diventato la base della pratica medica per tutto il Medioevo, con indicazioni pratica sulla diagnosi e la terapia.
Dove non era possibile avere un medicus, ovvero uno studioso dell’arte medica che aveva studiato presso gli scriptorium più prestigiosi, ci si rivolgeva a erboristi e frati; costoro erano portatori di una vastissima conoscenza basata sull’evidenza di efficacia di una gran quantità di impacchi, misture e decotti a base di erbe. Questi rimedi sono rimaste una parte della medicina popolare, oltre ad essere utilizzate da alcuni medici professionisti. Sono stati anche prodotti libri di rimedi a base di erbe, uno dei più famosi è il gallese Red Book of Hergest. Nonostante la teoria microbica fosse lontana dall’essere scoperta, in questi tomi sono molte le preparazioni con un potere antibiotico e disinfettante.
Ai nostri giorni invece la piaga dei batteri multi resistenti, selezionati dall’uso delle più svariate molecole antibiotiche, in grado di uccidere pazienti senza un’adeguata risposta immunitaria, costringe la ricerca farmacologica a orizzonti sempre nuovi, a volte anche nel passato. È il caso della curiosa ricerca condotta nell’Università di Nottingham, pubblicata alla fine del 2015; il progetto prevedeva lo studio di alcune misture presenti all’interno del Bald’s Leechbook, una raccolta custodita nella British Library, che data X secolo d.C. che si pensava avessero potere antibiotico.
Quella che è stata presa in considerazione prevedeva: aglio e cipolla, vino bianco e fiele di bue, il tutto doveva essere mescolato e lasciato riposare in un vaso d’ottone per 9 notti.
Tale unguento, da ciò che si apprende dal manoscritto, doveva esser in grado di curare infezioni oculari, in gran parte sostenute da Sthaphiloccocus Aureus. Per testarlo è stato utilizzato il metodo standard che prevede piastre di Petri con colture del batterio per verificarne la potenza antibiotica; con grande sorpresa degli sperimentatori non solo il composto funzionava egregiamente ma era in grado di uccidere anche ceppi multi resistenti alle normali terapie (MRSA stafilococco aureo meticillino resistente). Tale ceppo è considerato uno dei batteri più resistenti e di più difficile eradicazione fra quelli conosciuti, ed è causa ogni anno, in tutto il mondo, di milioni di sepsi di difficile cura e correlate ad una elevatissima mortalità. Ulteriori studi sono previsti per replicare l’esito di quello condotto a Nottingham e altre ricette sono in corso di analisi per tentare di capire quale sostanza si generi con misture note 1000 anni fa.
Questo piccolo studio ci ricorda quali tesori di conoscenza siano sepolti nella memoria storica e come questi echi possano ancora dare spunti di riflessione e armi per affrontare il mondo moderno.
FONTI
- Illich, Ivan. Medical Nemesis. 1976.
- Sournia, Jean-Charles e Le Goff, Jacques . Per una storia delle malattie. 1986.
- Le Goff, Jacques . Il corpo nel Medioevo. 2005.
- Benedetto XVI. Lettera enciclica Deus caritas est. 2005.
- Pazzini, Adalberto. Piccola storia della medicina. 1962.
- http://www.nottingham.ac.uk/news/pressreleases/2015/march/ancientbiotics—a-medieval-remedy-for-modern-day-superbugs.aspx
- Liu, Catherine, et al. Clinical Practice Guidelines by the Infectious Diseases Society of America for the Treatment of Methicillin-Resistant Staphylococcus aureus Infections in Adults and Children. Clinical Infectious Diseases. 2011.
- Gurusamy, Kurinchi Selvan, et al. Antibiotic therapy for the treatment of methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA) infections in surgical wounds. The Cochrane Database of Systematic Reviews. 2013.
A cura del Dott. Michele Balletta