GLI INIZI
Le prime forme di armi le ritroviamo, seppur in modo molto semplice, già nel Neolitico (8.000-6.000 a.C.). Queste armi erano prevalentemente realizzate in osso o pietra, fissate o meno su un’asta di legno. Seppur queste fossero oggetti atti ad offendere non si può ancora parlare di armi vere e proprie, queste più che altro erano oggetti con la doppia funzione caccia-guerra, infatti come venivano utilizzate per la caccia, venivano utilizzate anche per la guerra. In quest’epoca la spada non esisteva ancora, erano per lo più lance e scure le armi predominanti, le cose che si avvicinavano di più ad una spada erano degli ossi appuntiti lavorati.
RAME E BRONZO
Con l’avvento del rame (6.000-3.000 a.C.), vennero fabbricate le prime armi ad uso esclusivamente militare.
Esse erano realizzate in uno stampo unico, che permetteva facilmente di produrre una forma particolarmente comoda all’utilizzo. Esse erano per lo più con una lama dritta con fili paralleli o a foglia. Avevano una fornitura costituita da una primordiale forma di elsa, la quale in realtà aveva la funzione d’impedire alla mano di scivolare in avanti sotto sforzo, stessa funzione del rudimentale pomolo. Esse avevano una dimensione che variava dai 60 a 70 cm. Con quest’arma si poteva colpire sia di punta che di taglio, seppur si preferisse la prima forma di colpo in quanto il rame è particolarmente duttile.
Con l’avvento del bronzo (3.000-1.000 a.C.) le armi mantennero forme e dimensioni simili, salvo che quelle etrusche: questo popolo infatti creò un tipo di spada più corto di 10 cm (50-60 cm), con lama più stretta, leggermente rastremata sul forte, con delle scanalature decorative ed allo scopo di alleggerire la lama, le due antenne sul pomolo servivano per evitare che la spada scivolasse di mano, esattamente come gli anelli che ricoprivano l’impugnatura, il tutto rendeva la spada più leggera e bilanciata, di conseguenza si era più veloci nel ritrarla durante il combattimento. Erano utilizzati entrambi i tipi di colpi (taglio e punta) in quanto la maggior elasticità del bronzo rispetto al rame evitava che un colpo di taglio piegasse la lama.
Nel sud Italia, più precisamente nelle colonie della Magna Grecia, venne importata un’arma conosciuta come una delle più devastanti, se ben utilizzata, ovvero la Kopis. Essa era un’arma utilizzata dai Greci fin dal VI secolo a.C., e non c’è da stupirsi se la mantennero fino alla conquista della Grecia da parte dei Romani. Essa infatti era un’arma a lama curva (verso l’esterno), con una forma a “mezza-foglia”, con il filo dritto (quello interno alla curva) affilato fino al forte, mentre il filo falso no (vi è un modello simile denominato “Machiara”, sempre di origine greca, aveva la stessa forma ma con il debole del filo falso concavo ed affilato, anziché dritto), grazie a questa forma la lama era pesantemente sbilanciata sulla punta, di conseguenza con poca fatica si potevano portare micidiali colpi di taglio (che addirittura potevano troncare di netto un arto), inoltre la forma curva della lama consentiva di superare lo scudo avversario colpendo al di là di esso. L’innovazione principale di quest’arma fu quella di avere una fornitura separata dalla lama, il che permetteva in caso di danneggiamento di un pezzo rispetto all’altro di cambiarne solo una parte anziché tutto quanto. La fornitura erano due pezzi fissati lateralmente al codolo tramite dei perni di metallo, aveva una forma anatomica, era priva di elsa ed aveva un pomolo che si ricurvava verso la lama, esattamente come la fine dell’impugnatura si ripiegava in dietro, il che creava una specie di ramo (protezione delle nocche ripresa poi con le spade da lato), e poteva essere realizzata in legno, osso, o bronzo; essa era lunga tra i 45 e i 50 cm.
LA CIVILTÀ ROMANA
Con l’espansione romana in Italia e nel Mediterraneo, e con la scoperta del ferro nacque una nuova arma: il Gladius.
Le ipotesi sull’origine di quest’arma sono discordanti: alcuni sostengono che nasca dall’idea di sovrapporre due Kopis, mentre altri smentiscono quest’ipotesi e sostengono che derivi dal Gladius Hispanicus, anche se personalmente reputo che in realtà equivalgano alla stessa teoria, dato che prima del Gladius Hispanicus in Spagna esisteva la Falcata Iberica, che era una spada pressoché identica in forma e dimensione alla Kopis, di conseguenza non è improbabile che il Gladius Hispanicus derivi dalla sovrapposizioni di due Falcate.
Quale che sia l’origine, quest’arma utilizzata dai Romani fin dal III secolo a.C., fu l’arma che dominò il Mediterraneo e una buona parte dell’Europa sino al VI secolo d.C..
Vi sono innumerevoli tipi di Gladius, ma tutti avevano delle comuni caratteristiche: erano a lama dritta, a foglia, con fili paralleli, tutti terminavano in una lunga punta, e tutti avevano una lama particolarmente larga, la lama poteva essere incastrata in una fornitura in legno e poi ribattuta sul retro, oppure venivano inseriti separatamente elsa (seppur non si possa propriamente definire ancora elsa), impugnatura e pomolo e sul fondo il codolo veniva ribattuto. La fornitura era realizzata in legno, osso, bronzo o ferro. La lama era solitamente in ferro. Il pomolo era solitamente di grandi dimensioni per poter bilanciare il peso della lama, e l’impugnatura aveva una forma spesso sagomata per renderla più comoda da tenere.
Il Gladius era un’arma che colpiva prevalentemente di punta (come diceva Vegezio, «con la punta si uccide più in fretta»), sebbene potesse colpire anche di taglio. Il colpo di taglio però nel combattimento di tipo falangico non era previsto, in quanto il soldato nello spazio che si creava tra uno scudo e l’altro andava a colpire di punta, la quale penetrava fino a 4 cm (sufficienti ad uccidere sul colpo, con una lama larga dai 5,4 ai 7,4 cm), al che il legionario torceva il polso in modo tale da allargare la ferita. Nel caso in cui la contrattura muscolare dell’avversario fosse sopravvenuta, la forma a foglia, e l’affilatura anche sul medio, permetteva una facile estrazione dal corpo. La sua lunghezza variava dai 40 ai 55 cm.
In contrasto con il Gladio romano, nel nord Italia ancora dominato dai Celti (o Galli), vigeva la spada tipica di questo popolo. Essa era una spada a lama dritta con fili dritti e paralleli, che terminavano improvvisamente con una punta, la lama era incastrata a forza in una fornitura in legno. Il ferro di cui era composta la lama era lavorato in modo da renderla più duttile ma meno soggetta alla rottura (cosa che il Gladio non aveva, altra motivazione alla spropositata larghezza della lama), il problema si presentava quando questo popolo barbaro andava a fronteggiarsi contro le formazioni romane (teniamo presente che i Celti andavano in guerra senza alcun tipo di tattica, si gettavano sul nemico con grande audacia ma senza alcuna riflessione, taluni di loro combattevano anche nudi ed utilizzavano le loro armi come delle mazze affilate anziché come delle spade, non a caso furono conquistati con relativa facilità dai Romani), ovvero che battendo furentemente contro armature e corazze delle legioni queste lame si piegavano, e quindi erano costretti a ritirarsi dal combattimento per poterle raddrizzare. Queste armi erano inizialmente lunghe sui 60 cm, ma poi vennero allungate fino agli 80-90 cm. Quest’arma rimase in uso in Italia dal IV secolo a.C. fino al I secolo a.C..
Una dimostrazione esplicativa delle differenze tra Romani e Barbari viene dall’affermazione di un membro di Ars Dimicandi (associazione che studia i combattimenti dei romani e dei popoli antichi) il quale asserisce che nelle rievocazioni storiche con combattimenti tra Galli e Romani, chi interpreta i Romani non può assolutamente attaccare, può solo difendersi con lo scutum (per ragioni di sicurezza) perché mentre il barbaro combatteva senza un preciso metodo, e imparava direttamente sul campo, il romano riceveva un addestramento (e utilizzava una tattica) che nel momento in cui portava un colpo nove volte su dieci uccideva l’avversario.
La Spatha, altra arma di origine romana, era l’arma tipica della sua cavalleria (equites) entrò in vigore nel VIII secolo a.C. per la cavalleria, mentre per la fanteria (ormai prevalentemente composta da barbari) dal IV secolo d.C., in entrambi i casi venne abbandonata nel VI secolo d.C..
Quest’ arma era a lama dritta, con fili paralleli terminanti in una punta improvvisa, pomolo ed impugnatura erano o un pezzo unico o separati, e fissati allo stesso modo del gladio.
Inizialmente le dimensioni erano quelle di un lungo gladio, poiché era in uso nella cavalleria (la quale necessitava essendo più in alto di avere una lama più lunga), ma dal I secolo a.C. vennero adattate a quelle della spada celtica. Per via della loro lunghezza furono realizzate con vari strati di acciaio con diversa durezza, data dalla differente presenza del carbonio.
Un esempio di Spatha lo possiamo vedere nel punto di fuoco della prospettiva del “Giuramento degli Orazi” di Jacques-Louis David, vi è però una reinterpretazione di quest’arma (soprattutto nella fornitura).
IL MEDIOEVO
Durante la prima parte del Medioevo, le spade non ebbero grandi innovazioni fino all’XI secolo. Il cambio del tipo di guerra, ovvero l’abbandono dei manipoli, la nascita della cavalleria come la intendiamo oggi, l’abbandono di forme di addestramento e di strutture militari organizzate, lo scontro tra due orde barbariche senza alcuna strategia approfondita, condussero alla modifica radicale delle spade.
Queste armi le possiamo immaginare come le classiche spade dei film, di grandi dimensioni rispetto alle precedenti (dai 75 ai 100 cm), con una lama dritta a fili paralleli, terminante in una punta. Nonostante tra loro fossero simili, rispetto al periodo precedente portarono numerose innovazioni: la prima è nel modo di lavorare il metallo della lama (nasce il “damasco”, una lavorazione nella quale venivano fatti strati di ferro e acciaio, saldati e battuti assieme). Altra innovazione fu nella nascita di un’elsa e di un pomolo propriamente detti. L’elsa divenne una barra di metallo con funzione protettiva, il pomolo (realizzato in pietra prima e in metallo poi) servì ad equilibrare la lunghissima lama, ma divenne anche un elemento contundente della spada (i denti e il viso erano il bersaglio prediletto per un pomolo).
In un primo momento (fino all’VIII secolo d.C.) l’elsa e il pomolo erano piccoli. L’elsa copriva appena la mano, mentre il pomolo era composto da due dischi di metallo, mentre piano piano l’elsa si allunga e il pomolo diventa sferico sino ad arrivare alle spade “classiche”.
Importanti diventano queste spade anche perché si espande in Europa la tradizione nordico-vichinga della sacralità della spada, ovviamente reinterpretata al modo della nuova religione, divenendo non solo un’arma ma anche un oggetto sacro (idea che verrà abbandonata solo quando si ricominceranno a forgiare armi in serie, mentre in questo periodo ognuno si fa forgiare la propria).
Con l’aumentare della protezione fornita dalle armature (con il crollo dell’Impero Romano le armature si ridussero drasticamente, riducendo le componenti di metallo al minimo, o addirittura alla loro totale scomparsa) dal IX al XIII secolo d.C. si tende a prediligere la teoria secondo la quale più è grossa l’arma più risulta utile a danneggiare l’avversario. Il che non è sempre vero, perché l’armatura raramente veniva superata, e il danno (anche con le spade) non era mai un taglio, ma spesso una contusione, per carità a volte causavano anche la rottura di ossa, ma certo nulla come un taglio netto.
Le lame erano realizzate spesso con strati di ferro con diverse proprietà saldati insieme, e in aggiunta venivano inseriti sul piatto della lama dei rinforzi chiamati pennacchi.
Le dimensioni variavano a seconda del tipo: “una mano” (lunga un braccio), “una mano e mezza” (filo lungo un braccio più 20 cm circa di fornitura) e “due mani” (da terra fino alla spalla massimo, in Italia, nel resto d’Europa raggiungevano anche l’altezza del portatore).
Nel XIII secolo si inizia a comprendere che superare l’armatura è meglio che cercare di causare danno attraverso essa. In questo periodo (XIII-XIV secolo) le spade sono di vario genere, tendenzialmente a lama dritta con due fili paralleli che andavano a restringersi per concludersi con una dolce punta.
Questa forma caratteristica aveva lo scopo di penetrare le cotte di maglia (che la punta apriva gli anelli, mentre il taglio no), pertanto si inizia a ragionare per portare colpi di punta, cosa di grande importanza poiché precorre la nascita della Striscia.
Esse erano lunghe in media sui 120 cm poi variava se era a una mano, due mani o una mano e mezza.
IL RINASCIMENTO
Con la nascita delle formazioni di lanzi durante il XV secolo (anche se in realtà è un ritorno delle formazioni della falange macedone, con qualche piccola modifica), l’arte della guerra subisce uno stravolgimento.
Le formazioni di lanzi erano nate in territorio svizzero, dove negli spazi tra le gole delle montagne (e senza possibilità di addestrare unità di cavalleria valide) si necessitava di avere una formazione forte, compatta, inaccessibile, ma soprattutto formata da pochi uomini, e con un costo in termini di armamenti molto basso, è così che nascono i Lanzichenecchi. Queste unità vennero utilizzate dagli eserciti mercenari di tutta Europa, e pagati profumatamente per il loro servizio.
Il desiderio degli stati europei dell’epoca di avere queste formazioni nei propri eserciti fece sì che essi si espandessero in tutta Europa, anche perché avere formazioni di questo tipo in un proprio esercito significava risolvere totalmente il più grande problema che la fanteria aveva all’epoca, ovvero la cavalleria, che a causa di questo scomparve totalmente. Ci si rese presto conto però che due unità di lanzi che si fronteggiavano combattevano a lungo e in modo logorante, e per risolvere tale difficoltà si prese, sia nelle unità di lanzi che nelle unità normali, a inserire dei soldati estremamente corazzati armati di uno spadone a due mani: questi in Germania erano conosciuti come Doppelsolder (Doppio Soldo), i meglio pagati, per il fatto che stavano in prima linea tra una formazione lanzica e l’altra e il loro compito era quello di spezzare a colpi di spada le lance del reggimento avversario, il che ovviamente era estremamente pericoloso.
Lo spadone a due mani in quest’epoca era grande 170-200 cm, la lama era a fili paralleli (in epoca più tarda a “biscia”), inoltre tra il forte e il codolo viene ampliato in modo spropositato il tallone e nel punto di giunzione tra questo e il forte si inseriscono due denti, questo perché a causa dell’immenso peso e squilibrio di quest’arma si necessitava, per risollevarla dopo il colpo, d’impugnarla sulla lama e questi avevano funzione di elsa.
L’elsa, spropositata anch’essa, aveva una forma ricurva in avanti per poter permettere al soldato di di bloccare la picca avversaria facendola incastrare tra la lama e l’elsa.
Il pomolo aveva una funzione di riequilibrare (anche se molto poco) la lama, giusto per portare il punto di equilibrio 10 cm dopo i denti, in modo tale da avere l’equilibrio di una spada normale quando la si solleva, ma la bilanciatura più avanzata quando si impugnava la spada dall’impugnatura e conseguentemente fornire più potenza al colpo (ricordiamo che le picche avevano un’ asta di legno spessa 4 cm).
L’immensa impugnatura serviva a poter maneggiare con più facilità la spada.
Tra il XV e il XVII secolo viene utilizzata in Italia un’arma conosciuta come Schiavona.
Essa nacque come arma della cavalleria Veneziana importata da unità mercenarie al soldo di Venezia, venne poi utilizzata anche dalla fanteria. Questa era una spada a fili paralleli o con i fili tendenti al centro, aveva un equilibrio molto avanzato, utile in particolare per la cavalleria, che nel mentre era rinata sotto una nuova forma.
La guardia a gabbia forniva una particolare protezione da parte dei colpi di punta, e di taglio, la cosa nasceva proprio per la cavalleria che i colpi che arrivavano dai fanti evitavano al cavaliere di perdere l’uso della mano.
Da quest’arma poi nascerà la spada scozzese (Scottish basket hilt) dalle caratteristiche molto simili ma una guardia a “cesto”.
Il fatto che si dia importanza alla protezione da parte dei colpi di punta significa anche che sempre più si sta abbandonando il colpo di taglio, e si predilige la stoccata.
SPADE DA LATO
Per tutto il XVII secolo in Italia la spada da guerra principale fu la Squadrona, punto di massima unione tra il colpo di taglio e di punta: essa era caratterizzata da una guardia molto elaborata, costituita da archi e rami.
Esattamente come la sua sorella in campo militare (prima le armi da guerra erano utilizzate anche nella difesa personale, con queste due si apre il divario tra armi militari e armi civili) la Striscia aveva una guardia elaborata, ma il suo sottilissimo filo consentiva di colpire prevalentemente di punta, anche se con il passare del tempo (la striscia rimase in uso fino al XIX secolo durante i duelli) si arrivò a portare colpi solo di punta.
La squadrona divenne poi la spada utilizzata dai comandanti di fanteria fino ad oggi, seppur con la scomparsa dei rami e dell’elsa, rimasero solo due ponti sul piatto della lama, oppure sostituiti da una coccia, mentre figlie della striscia sono le nostre spade da scherma sportiva.
Altra differenza è certamente nelle dimensioni, ovviamente dovendo la squadrona essere poco flessibile per colpire di taglio senza spezzarsi aveva una lama larga sui 3 cm e lunga non più 70 cm, mentre la striscia aveva una lama larga 1,5-2 cm prima, e 1-1.5 cm poi, la lunghezza arrivava fino ai 133 cm.
Oltre al fatto che mentre la squadrona aveva una lama che terminava con una punta secca, la sua sorella civile aveva una punta che si affusolava lungo tutto il debole.
Diventa molto interessante sotto l’aspetto dell’estetica che in queste due spade si sia andati alla ricerca della bellezza degli elementi che costituiscono l’arma, oltre che alla loro funzionalità. Inoltre questi elementi nascono da un progetto studiato, ragionato e disegnato, e non andando per tentativi come invece avveniva il più delle volte nei periodo antecedenti.
DAL RITORNO DEGLI ESERCITI DI STATO AD OGGI
Già con il Terçio (“Tersio”) la Spagna aveva dato il via alla nascita degli eserciti di Stato, utilizzando reggimenti regolarmente formati messi a disposizione da parte dei nobili.
L’obbligo di imporre ad un nobile di mettere a disposizione una quantità di uomini regolarmente armati ed equipaggiati (picchieri o fucilieri, o altro), costrinse questi a cercare di unificare il vestiario e l’ equipaggiamento, dando il via alla nascita dell’ uniforme militare, e l’ adozione di modelli di armi unici da parte degli eserciti di stato.
Chi più di tutti lavorò in questo senso fu la Francia di Luigi XIV, il Re Sole, il quale stabilì una comune uniforme per ogni tipologia di reggimento dell’esercito, con un comune colore, un’arma standardizzata, ma soprattutto nasce il “regolamento sulle uniformi” che era un regolamento (appunto) con esposto come doveva essere l’uniforme, come ci si comportava, quali erano le armi. Questo perché l’ esercito non era più solo uno strumento di guerra, ma era anche il modo, da parte dello Stato, di presentarsi al popolo e nel confronto con gli altri Stati.
L’arma bianca media di maggior importanza di quest’epoca fu sicuramente la sciabola (specifico media perché fu molto importante anche la baionetta, ma non è considerabile come una “spada”, ma piuttosto nasce come un’arma in asta e solo in un secondo momento come arma corta e/o in asta). La sciabola fu un’arma di derivazione orientale nata durante il XV secolo, anche se in Europa arrivò solo nel XVII secolo.
Grazie a quest’arma la cavalleria tornò in uso sotto forma di corpo leggero, quindi non aveva più funzione di sfondamento, ma faceva attacchi “mordi e fuggi”.
La sciabola ha una lama curva a fili paralleli terminanti in una punta (la fanteria adotterà una lama lievemente diversa), il filo dritto aveva un’affilatura su tutto il debole, mentre solo una parte del debole del filo falso era affilato. Le guardie erano differenti: alcune avevano un’elsa con attaccata una guardia che si risalda sulla fine dell’impugnatura che protegge la parte bassa della mano dai colpi di una baionetta (ovviamente un eventuale colpo di punta di una baionetta veniva deviato dal ramo), altre invece avevano una coccia con delle ramificazioni, comunque tutte avevano un ramo che proteggesse le dita.
La particolarità di avere una lama ricurva verso il soldato permetteva alla lama di avere un equilibrio più arretrato, di conseguenza la lama risultava essere più leggera e quindi i colpi erano più precisi ma meno forti.
Importante nell’impugnatura è la lieve ricurvatura verso l’esterno della parte finale della stessa, questo perché con la sciabola i colpi si portano con una chiusura secca del pugno, mentre con le armi precedenti principalmente con un movimento di polso.
Le sciabole avevano una lunghezza diversa a seconda dei modelli tra i 75 e gli 85 cm di lunghezza.
La forma curva dava un altro vantaggio: con la scomparsa quasi totale delle armature non era più necessario dover portare colpi pesanti, era sufficiente fare un taglio di 2 cm circa di profondità per mettere fuori combattimento un soldato (senza necessariamente ucciderlo), la lama curva si prestava a tale scopo, questo perché: mentre un colpo portato circolarmente (come ogni colpo portato con un’arma bianca, che si muove secondo un movimento circolare) con un’arma a lama dritta impatta nel punto dove colpisce e lì si ferma, causando un danno focalizzato in un punto, la lama curva consente di proseguire il movimento e quindi fare un taglio meno profondo ma più esteso, danneggiando più parti del corpo con un solo colpo (es. se arriva un colpo di spada diagonalmente sulla spalla troncherà il trapezio, e forse romperà la clavicola, una sciabolata con un colpo nello stesso punto taglierà il trapezio, l’attaccatura di uno dei fasci della spalla, taglierà il pettorale, passerà sull’altro pettorale troncando la sua attaccatura allo sterno, taglierà alcuni addominali, e potrebbe penetrare al di sotto della cassa toracica danneggiando gli organi interni).
Le sciabole restarono in uso in ambito militare fino alla Seconda Guerra Mondiale durante la quale – con le ultime cariche di cavalleria e le nuovi armi automatiche o semi automatiche – l’arma bianca perse totalmente di valore.
Possiamo ricordare ad esempio la carica di cavalleria portata dal reggimento italiano “Savoia Cavalleria”, il quale vinse nettamente senza alcun supporto la battaglia di Izbusenskij (sul fronte russo nel 1942) caricando con 700 effettivi 2500 uomini dell’esercito Sovietico.
Comunque essa rimase in uso nelle alte uniformi o come complemento ancora oggi in tutti i corpi militari.
Con le armi da fuoco moderne (in altre parole dalla nascita della canna rigata XIX secolo) le unità di fanteria vennero dotate di armi bianche corte, come i coltelli i quali più che funzione difensiva-offensiva venivano utilizzati per altri usi: lavorare materiali, tagliare cavi, cucinare animali, e altri usi.
È interessante comunque come dopo 10.000 anni di storia dell’arma bianca si sia tornati ad oggetti multifunzione più che ad armi vere e proprie.
Esse potevano essere di vario genere: a fili paralleli o tendenti al centro, simmetrici o asimmetrici, a lama dritta o curva o all’“americana” (dritti con la punta mozzata con un angolo di 30º< e <60º), con una seghettatura o una “dentatura” sul filo dritto o sul filo falso, o senza, con doppio filo o uno solo, impugnatura dritta o curva. Insomma tutto quello che è stato appreso sulle armi bianche in questi millenni si è riversato sui coltelli.
LE ARMI SPORTIVE
Durante il XX secolo in Europa si smise di fare duelli cruenti, e nacque però una sua interpretazione sportiva con: spada, fioretto e sciabola.
Esse erano molto simili alla striscia cinquecentesca ma con una coccia anziché una guardia. Inizialmente le lame erano a striscia, poi sono diventate a sezione triangolare ed infine oggi sono a sezione quadrata.
Le uniche vere innovazioni furono la nascita dell’impugnatura anatomica, che secondo alcuni risulta più comoda, portando a tre le impugnature: anatomica, alla francese e classica (io personalmente preferisco quella alla francese poiché consente un allungo più profondo, mentre l’anatomica dopo un po’ causa fastidio all’incavo tra pollice e indice).
È interessante la fornitura di questi oggetti sportivi, intanto seguono la stessa idea delle precedenti, quindi la coccia viene inserita in un codolo filettato, viene poi inserita l’impugnatura e il tutto è fissato con un bullone. L’impugnatura anatomica è in metallo ricoperta da uno strato di materiale plastico. L’impugnatura classica la parte dove propriamente si impugna è realizzata in un materiale spugnoso e abrasivo, aumentando in questo modo l’attrito sulla mano. L’impugnatura alla francese infine mantiene ancora l’elsa, alla quale sovrappone una coccia, non necessita (come l’impugnatura classica) di dover avere un grande attrito sulla mano poiché i due anelli sono sufficienti, di conseguenza l’impugnatura è realizzata in plastica.
Le lame vennero invece cambiate nella loro struttura interna nella seconda metà del ‘900 poiché durante un torneo una spada si spezzò durante un affondo, la lama però si ruppe creando una punta che trapassò la maschera uccidendo l’atleta. Quindi risolsero inserendo un filo di rame nella lama in modo tale che in caso di rottura si sarebbe rotta dritta evitando rischi per gli atleti.
La Scherma Storica dal 2009 è entrata ufficialmente nella FIS (Federazione Italiana Scherma), che riprende fedelmente i combattimenti con armi di epoca tre-quattrocentesca, cinque-seicentesca, e sette-ottocentesca, nelle tre discipline che rispettivamente prendono il nome di: antica, storica, e classica.
Oggi nella scherma della FIS esiste una disciplina diversa per il duello di spada dal 1300 fino al ‘900.
FONTI
- Associazione Ars Dimicandi
- “Flos Duellatorum” di Fiore dei Liberi (a cura di Giovanni Rapisardi)
- “Opera Nova” di Achille Marozzo
- “Commentariorum Belli Gallici” di Gaio Giulio Cesare (a cura di Raffaele Ciaffi e Ludovico Griffa)
- “Armi Bianche” di Ugo Barlozzetti e Sandro Metteoni
- “Storia dell’ Arma Bianca Italiana: da Waterloo al Nuovo Millennio” di Cesare Calamandrei
- “La Guerra nel Medioevo” di Philippe Contamine
- “Le Grandi Civiltà del passato” di Giovanni Caselli
- “Militaria: storia delle armate e delle potenze europee da Carlo Magno al 1914” di Giovanni Santi-Mazzini
- “La scienza delle armi: dall’ età della pietra ai nostri giorni” di William Reid
- “Balaklava” di Terry Brighton
- “Museo di Castelvecchio: Le Armi 1300-1700” Verona 1987
a cura del Dott. Emanuele Viotti