Il drago è una bestia mitologica che gli uomini del Medioevo descrivono in modo ambiguo: a volte come mostro alato con artigli, ali e coda di serpente, altre volte come pitone in connotazioni fantastiche. In epoca medievale era simbolo delle forze del male, del peccato, dell’eresia, passando poi nel simbolismo ebraico e cristiano come portatore di poteri malefici e demoniaci. L’Apocalisse di Giovanni (12, 1-5.7-9) lo identifica in modo esplicito nel serpente della Genesi, ossia Satana: è da lui che la creatura trae il suo potere, vinto soltanto alla fine dei tempi (Apocalisse 13, 2-4; 20, 1-10).
In alcuni scritti il drago viene descritto come più potente e forte dell’elefante:
L’Acerba, Cecco D’Ascoli (XXXII)
Maggior è ‘l drago di tutti i serpenti
entossicando il mare, l’aire turba;
più colla coda noce che co’denti.
Fra gatta e cane, drago e leofante,
naturalmente la pace si turba,
e mai cavallo e struzzo non fa amante.
Li piedi del leofante ‘l drago annoda
colla sua coda e combattendo stride
fin che la vita dal cor li disnoda.
Traduzione: Il drago è il maggiore di tutti i serpenti, sconvolge l’aria e gonfia il mare; nuoce più con la sua coda che con le sue zanne. Per forza di natura tra gatto e cane, tra drago ed elefante non vi può essere pace e così non vi può essere amore tra un cavallo e uno struzzo. I piedi dell’elefante il drago avviluppa con la sua coda e stride mentre lo combatte, finché non gli ha spezzato il cuore.
Novus Phisiologus (vv. 1075 ss.)
Est draco cristatus, alatus, caumate natura […]
Expers est fraude virus, sed sirmate caudae,
quidquid convenit, suffocat et premit.
Corpore praestantes non evadunt elephantes,
crura quibis nectit, sternit et interimit.
Traduzione: Il drago, nato dal calore ardente, è munito di cresta e di ali; non è velenoso, ma con la sua lunga coda strisciante soffoca e uccide tutti coloro in cui si imbatte. Gli elefanti benché siano possenti nel corpo, egli riesce ad abbatterli e sopprimerli, dopo aver loro avviluppato (con la sua coda) le gambe.
Ugo di San Vittore (Ducato di Sassonia, 1096 circa – Parigi, 11 febbraio 1141) teologo, filosofo e cardinale francese, tra i principali teorici della scolastica, venerato come beato dalla Chiesa cattolica, oltre alle notizie sopracitate, aggiunge nuove caratteristiche: il drago ha una cresta, perché Re della superbia. Crista in latino può significare pennacchio, elmo e pennacchio erano portati da re o da alti ufficiali dell’esercito. Non ha veleno nei denti, ma nella lingua perché riesce a trarre a sé le sue vittime, servendosi della menzogna. Si appiatta lungo i sentieri dove passano gli elefanti, perché il diavolo perseguita sempre gli uomini più prestigiosi.
Il drago compare in molti poemi epici medievali. Nel Niebelungenlied l’eroe Sigfrido affronta e uccide un drago e, bagnandosi col suo sangue si rende invulnerabile, tranne in un punto, dove gli si era posata una foglia di tiglio.
Nella tradizione celtica i draghi compaiono spesso. Un racconto del Mabinogion (raccolta di racconti del Galles dell’XI-XII secolo), intitolato Lludd e Llevelys, accenna alla lotta di due draghi: il drago rosso (simbolo dei Britanni) e il drago bianco (simbolo dei Sassoni). Il re Artù avrebbe vinto il drago bianco è liberato quello rosso.
La vita è le imprese di Alessandro Magno ispirarono molte opere non solo storiche ma anche leggendarie in epoca classica e medievale, in prosa e poesia sia in Oriente sia in Occidente. In questi racconti compaiono spesso serpenti, draghi e animali fantastici.
Nella letteratura italiana medievale draghi, serpenti leggendari e rettili mostruosi non sono molto comuni. Dante nomina draghi e grifoni nella Divina Commedia.
Molto diffuse nell’iconografia cristiana le rappresentazioni di serpente e drago. Come ad esempio la scena di Daniele che uccide il serpente presente nelle grandi arche di Mantova e Verona (IV secolo). La scena di Cristo che calpesta il leone e il drago, possiamo vederla a Ravenna (stucco del Battistero Neoniano del V secolo e cappella arcivescovile). Dell’uccisione del drago da parte dell’arcangelo Michele, di San Giorgio o di altri santi, ricorderemo il dipinto di Paolo Uccello (XV secolo) a Parigi, Musée Jacquemart: San Giorgio e il drago e l’affresco nella chiesa di San Pietro al Monte (Civate, provincia di Como, X secolo).
Anche nell’araldica serpenti e draghi sono comuni. Tra gli stemmi italiani possiamo citare quello dei Visconti di Milano: una biscia che divora un saraceno e che Dante ricorda in questo verso del Purgatorio, VIII, 80: “La vipera che Melanesi accampa”.
FONTI:
- Bestiario Medievale, di Francesco Maspero e Aldo Granata, ed. Piemme 1999.
a cura di Loris Chiccoli