Poiché il bacino del Garda rappresentava di per se stesso una protezione delle aree situate a protezione del lago, i rilievi morenici, il corso del Mincio e le paludi del Tione avrebbero costituito, se non ben custodite, la porta che avrebbe canalizzato ogni incursione tanto Milanese quanto Mantovana.
Individuati sui rilievi morenici costituiti dalle colline di Custoza e di Sona i capisaldi per la difesa del territorio, il Comune di Verona, già in epoca prescaligera, aveva intrapreso un processo di definizione della propria sfera di influenza; nei confronti del mantovano tale operazione aveva portato alla fondazione di Villafranca nel 1185 ed alla individuazione del corso del Tione quale linea confinaria. Gli Scaligeri consolidarono in seguito tale disegno estendendolo anche alla linea del Mincio.
La saldatura tra il Mincio ed il Tione era assicurata da quella fortificazione che, sotto il nome di Serraglio, comprendeva, raccordati da un’unica muraglia con vallo alimentato dalle acque del Tione, quattro castelli: Valeggio, Gherla, Villafranca e Nogarole Rocca, nonché il borgo fortificato presso Valeggio lungo il Mincio, detto Borghetto.
Si tratta di un’opera dallo sviluppo addirittura superiore a quello delle stesse mura di Verona: sono ben sedici i chilometri di lunghezza delle cortine accertati, intervallati da circa centocinquanta torri. Il collegamento dei fortilizi di Valeggio, Villafranca e Nogarole Rocca con una cortina murata potè essere stato reso necessario, oltre che dalle continue incursioni dei Mantovani, dalla necessità di garantire allo stato veronese un confine sicuro senza un grande dispendio di uomini, occupati in quel tempo nella politica di espansione della signoria.
La grande muraglia del Serraglio fu iniziata da Mastino II nel 1345 e terminata da Cangrande II nel 1355, smantellata nella prima metà del secolo scorso, dagli Austriaci, per avere libero accesso alla pianura.
VALEGGIO, testata occidentale di tale apprestamento difensivo sita su una delle colline moreniche a sud del bacino del Garda, secondo valico del Mincio dopo Peschiera, godeva di una posizione strategica di primaria importanza.
Il complesso fortificato di Valeggio si articolava su due elementi che, pur edificati in periodi diversi, sono complementari tra loro: il castello ed il nucleo murato di Borghetto.
Il castello, planimetricamente pressoché rettangolare, è articolato in tre distinti recinti: la piazza d’armi, occupa lo spazio maggiore; una seconda corte, intermedia, la più piccola delle tre, costituiva l’accesso, protetto da un rivellino, ed il disimpegno del castello, che si concludeva a nord con il recinto, comandato dal mastio sul cui lato settentrionale si apriva la porta di soccorso.
Del complesso, permangono oggi soltanto le tre torri angolari del castello ed il mastio.
Il fortilizio risale al X secolo, oggetto di contese tra Mantovani e Veronesi, fin quando non fu dato in custodia ad Alberto della Scala nel 1277, che lo rafforzò nel 1284, contemporaneamente alle difese del paese. Probabilmente l’impianto di Alberto si limitò solamente al recinto del castello; sotto Mastino II gli venne aggiunta la piazza d’armi, fino al raccordo con la cortina del Serraglio, collegando il vertice di Borghetto con il fossato del paese.
Fin dall’Alto Medioevo dovette trattarsi di un apprestamento minimale, feudo dell’abbazia di San Zeno, con funzione di salvaguardia dei diritti di pedaggio.
VILLAFRANCA, fu fondata dal comune di Verona quale nucleo abitato destinato ad ospitare i nuovi coloni, difesa da un fossato verso il confine mantovano, ebbe una struttura amministrativa e fondiaria.
Una piattaforma di forma regolarmente quadrata con 150 metri di lato e quota di 2,20/2,50 metri sul piano di campagna, realizzata in grossi ciottoli fluviali, probabile aggere di un precedente impianto tardo imperiale romano, accoglie il castello. Quest’ultimo sembra essere il risultato dell’aggregazione di almeno tre edifici successivi; quello del 1202 (Podestà Salinguerra dè Goramonti) nella torre e nel tratto di cortina nordorientali; quello del 1234 (Podestà Enrico da Egna, dopo essere stato incendiato da Ezzelino III nel 1223) nel mastio e nel completamento meridionale; e quello definitivo del 1345-1359 nel grande recinto della piazza d’armi.
Funzionalmente si evidenzia una rocchetta racchiusa da cortine integrate da torri, a cavallo della cortina settentrionale; dal recinto principale, che a sua volta costituisce la cittadella, emergente verso città; dalla cima del più grande recinto del Serraglio, che correva qualche metro più a sud.
Cronologicamente pertanto la primitiva stazione di controllo lungo un’importante arteria romana, trasformata dal comune veronese in struttura difensiva dell’accesso al nuovo insediamento urbano, si evolve sotto gli Scaligeri, fino a diventare il campo trincerato delle milizie del Serraglio. Esso rimase sempre una struttura militare, ma col tempo diventò inutile alla difesa del territorio.
Chiaramente recuperato dai precedenti impianti, attorniato dal fossato, scavalcato da ponti levatoi anche verso la piazza d’armi, pur col suo mastio alto una quarantina di metri, che consentiva un collegamenti visivo con gli altri castelli o siti forti nella zona, il castello è elemento secondario rispetto al grande recinto quadrato di 150 metri di lato, con cortine alte una decina di metri, rafforzate da torri alte 15/20 metri, tre intermedie e quattro d’angolo; di queste ultime, le due verso la campagna sono ruotate di 45°, cioè sulla diagonale dell’angolo rispettivo.
Quasi unico tra gli impianti Scaligeri, il castello aveva apprestamenti offensivi scaglionati su più livelli; infatti, oltre a quelli del cammino di ronda, esiste anche una serie continua di arcierie a tholos a livello intermedio, servibili da un soppalco ligneo; mentre alla quota della piazza d’armi, in corrispondenza di una banchinatura perimetrale interna, si trova ancora una serie continua di feritoie quadrate, camuffate da buche pontaie, passanti ,ben adatte alla difesa ravvicinata del fossato e del piede delle cortine.
L’abitato di Villafranca, città murata ma non racchiusa in un’area predeterminata, deve al piano di fondazione e soprattutto alle eccezionali opere che la difendevano, quello sviluppo che fino al secolo scorso ne ha fatto un aggregato di corti agricole caratterizzato da larghe strade e da vasti spazi ortivi al centro degli isolati.
FONTI
- “L’oratoio di S.Rocco e i tesori di Villafranca di Verona” – Ed. a cura del Comitato di S.Rocco di Villafranca di Verona
- “Villafranca” – di Mario Franzosi, Ed. di “Vita Veronese” MCMLXV
- “I Castelli, Castelli Scaligeri” – di Gianni Perbellini, Rusconi Libri s.p.a. Immagini, ed. 1982
a cura di Andrea Baroni