L’inquisizione medievale

Cos’è l’Inquisizione

La parola “Inquisizione” nell’Alto Medioevo significava semplicemente “inchiesta”.
L’Inquisizione nasce come istituzione giudiziaria: il suo compito era quello di trovare, processare, convertire e se necessario punire i colpevoli di eresia. Inizialmente affidata ai vescovi, viene successivamente affidata all’ordine dei Domenicani e dei Francescani.

L’avvento dell’Inquisizione

Sebbene cadano tutte negli stessi 50 anni, dalle ricerche svolte vengono segnalate varie date d’inizio dell’Inquisizione; a causa di questa discrepanza, non si può definire una data di inizio preciso, ma una serie di tappe e di eventi, dove sono stati presi dei provvedimenti in conseguenza alle eresie. Proprio per questo, ci limitiamo a riportare alcune date ed eventi di questo percorso di costruzione.
Una prima tappa dell’inizio dell’Inquisizione, risale al 1184, con la bolla giovanna-arcoAd Abolendam di Papa Lucio III, con la quale forma un gruppo di specialisti col compito di indagare sulle ortodossie, e invitava i vescovi a recarsi nelle proprie diocesi alla ricerca di eretici almeno due volte l’anno.
Una successiva modifica nel corpo inquisitoriale l’abbiamo nel 1231, dove Papa Gregorio IX nomina i primi inquisitori permanenti, incaricando Domenicani e successivamente Francescani di compiere missioni di indagine sugli eretici.
Due anni dopo sempre Papa Gregorio IX da il via ad un tribunale contro gli eretici.
Nacque così tra il 1231 e il 1233 l’Inquisizione monastico-papale. Gli inquisitori, dovevano render conto esclusivamente al Papa ed erano quindi assolutamente liberi di muoversi nelle diocesi, essendo svincolati dalla giurisdizione vescovile. Il compito venne appunto affidato ai nuovi ordini mendicanti: Francescani e Domenicani, che davano maggiori garanzie, per cultura e per fedeltà al papato, perché potevano contare sui già numerosi conventi del loro ordine come basi di appoggio, e sull’aiuto dei loro confratelli.
L’anno successivo, il 1234, Papa Gregorio IX emana una bolla nella quale parla del dovere di stanare e catturare gli eretici.

Inquisizione in Italia

Diamo anche un rapido sguardo a come è iniziata l’inquisizione in Italia.
Nel 1225 Brescia era quasi diventata domicilio di eretici. Eretici e loro sostenitori, fortificavano le torri della città, incendiavano chiese e bestemmiando cantavano contro la Chiesa Romana e i suoi fedeli. Con queste premessa Papa Onorio III ordina di abbattere le torri di codeste persone; tali torri non potranno essere ricostruite senza autorizzazione della Santa Chiesa.
Nelle legislazioni italiane l’eresia è stata tenuta di poco conto almeno fino al 1230.
Svolta decisiva alla battaglia contro le eresie, l’ha data lo Statuto di Brescia nel 1230, usato come modello per quelli di Padova, Verona, Vicenza, Treviso, Bologna, Ferrara.
Verona nel 1270 inserisce alcune norme anti-ereticali. Gli Statuti di Verona e Treviso hanno previsto al loro interno la distruzione delle case degli eretici.
L’8 giugno 1254 Papa Innocenzo IV con la bolla Cum Super Inquisitione, divideva l’Italia in 8 province inquisitoriali; Lombardia e Regno di Sicilia affidate ai Domenicani, le altre sei – Marca Trevigiana, Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio – ai frati minori.

Cosa combatteva l’Inquisizione?

Ma cos’era in pratica l’eresia?
L’eresia non era altro che una struttura alternativa a quella Cattolica, nata non dal “non credere” ma da un bisogno di credere e vivere diversamente la propria religione. Talvolta era semplicemente un interpretazione diversa, dai canoni, dei testi sacri.
Anche le eresie erano divise in diocesi, gerarchie episcopali e avevano le loro forme di culto.
Come esempi di movimenti eretici troviamo i Catari e i Valdesi.
Alla base della religione Catara vediamo la divisione di tutto in due sfere di influenza, quella del dio buono (spirito) e quella del dio malvagio (la carne e le tentazioni). L’umanità deve liberarsi dall’influenza del dio cattivo per raggiungere la pienezza della felicità nella comunione con il dio buono. Rifiutano dunque i Catari il consumo dei cibi carnei e delle uova, rifiutano il coito, la gerarchia Cattolica, negano la resurrezione dei corpi, negano validità ai sacramenti, alle preghiere per i defunti, non credono nella maternità di Maria né nella passione di Cristo; odiano la Croce e gli edifici ecclesiastici.
Valdo, iniziatore del movimento che poi ha preso il suo nome, è un ricco mercante che, come San Francesco, vende ciò che ha dandone il ricavato ai poveri. Abbagliato da un racconto sentito sulla piazza, si fa tradurre in volgare alcuni passi della sacra scrittura e comincia a predicare in pubblico. Insistendo a predicare anche quando questo gli viene proibito; questa disobbedienza fa di lui un eretico, lui che aveva iniziato a predicare proprio con l’idea di far ravvedere gli eretici. Gran parte dei suoi seguaci vollero una rottura definitiva con la Chiesa Cattolica; di per se però negli inizi della predicazione di Valdo non c’è nulla di dottrinalmente eretico. Col passare del tempo i Valdesi vennero poi confusi con i Catari.
Si ha poi successivamente un massiccio attacco alle streghe: questo fenomeno dilaga in Europa tra il XV e il XVII secolo. Carestia e pesti durante il Trecento fanno diventare la stregoneria, un capro espiatorio a cui attribuire ogni male. Nel 1484 Papa Innocenzo VIII incarica Heinrich Institor e Jacob Sprenger, due inquisitori Domenicani, di punire i peccatori. Questi ultimi creano il Malleus Maleficarum, un vero e proprio manuale di caccia alle streghe.
I processi di questo periodo introducono le innovazioni giuridiche introdotte in passato, come ad esempio l’uso della tortura ed il rogo. Prima del 1200, si procedeva con l’accusa e successivamente con l’assoluzione o l’accusa della “strega”. In caso di indecisione dovuta a dubbi si ricorreva all’Ordalia: una richiesta a Dio dell’innocenza o colpa dell’accusato, di solito risolvendosi con un duello tra l’Accusa e l’Accusato. Il vincitore di tale duello decideva le sorti del processo: in caso di vincita dell’Accusa il responso era, ovviamente, colpevole; in caso contrario l’imputato era assolto dalle sue colpe.
Dopo il 1215, in seguito ad un Concilio, la Chiesa proibì agli ecclesiastici di partecipare alle Ordalie; ed i processi cominciarono ad assumere il sistema inquisitori delle eresie.
Con le Ordalie si chiedeva l’intervento divino, mentre con il modello inquisitorio era necessario avere prove decisive.

La modalità di procedere

Giungendo nei luoghi da esaminare, gli inquisitori, facevano convocare dal curato del posto, tutti gli abitanti; essi erano invitati in piazza per sentire la solenne predica con la quale l’inquisitore invitava e incitava gli eretici a pentirsi dei loro errore; con la stessa predica invitava anche coloro che conoscevano o sospettavano degli eretici a denunciarli, pena lo stesso trattamento. Denunciare gli eretici divenne poi un opera pia; gli accusatori rimanevano segreti per evitare rappresagli da parte dei parenti o amici dei sospettati; e le false accuse venivano punite tanto quanto le eresie. L’inquisitore dava a loro un mese di tempo affinché i colpevoli venissero a denunciarsi di loro spontanea volontà. Passato questo tempo gli inquisiti venivano convocati del Vescovo e in caso di rifiuto interveniva la gendarmeria. I sospetti che confessavano gli sbagli di propria spontanea volontà ricevevano comunque delle pene più lievi, in base alla gravità della colpa e di quanto essa fosse conosciuta dalle altre persone.
Alcuni che non erano del tutto in pace con la propria coscienza chiedevano di essere esaminati dall’inquisitore al fine di ottenere un certificato di “buona condotta”.
Nell’esaminare i casi, per quanto si serva di costituzioni (papali o imperiali) in tema di eresia, di modelli forniti dai manuali e di formulari, all’inquisitore rimane comune il compito di esaminare un caso specifico dettato dalle persone e dall’ambiente coinvolti.
Non tutti venivano interrogati ma solo coloro che erano in qualche modo sospetti. I’interrogatorio, non riguardava affermazioni dottrinali, ma la frequentazione del mondo ereticale, cioè il verificarsi di rapporti con persone già giudicate eretiche. L’inquisizione non stabilisce cosa sia l’eresia, quello lo hanno già fatto Papi e Imperatori; lo scopo dell’attività inquisitoriale è quello di convincere l’eretico che è caduto nell’errore e di assegnargli una pena. La discussione era vietata, per non correre il rischio che le loro convinzioni si aggravassero o che si diffondessero tra coloro che non ne avevano ancora il sentore.
Una volta deciso quanto e come l’accusato risultasse in rapporto con dei movimenti ereticali, veniva emessa la condanna. Mai, però, dei sospettati sono stati condannati senza ascoltarli e permettergli di difendersi; anche perché il compito dell’inquisizione era educare la popolazione e ravvedere gli eretici; tra le altre cose l’accusato aveva il diritto di portare dei testimoni a sua discolpa.
Con l’avanzare del tempo, la procedura di giudizio divenne sempre più minuziosa e precisa. Contrariamente alla non uniformità dei processi, le sentenze erano molto simili tra di loro, questo perché rispondevano ad un formulario standard in uso da sempre. Nella maggioranza dei casi la punizione era una multa; altre forme di punizioni erano pellegrinaggi o cucirsi delle croci addosso.

Chi vi lavorava

Gli inquisitori erano uomini di sapere e di salda fede: sempre ecclesiastici che erano nominati direttamente dal Papa; molti di essi vennero scelti tra i frati Domenicani. Nascendo l’eresia dall’ignoranza occorreva avere uomini di grande cultura ed i Domenicani rispecchiavano appieno queste richieste. Inizialmente erano i Vescovi ad occuparsi degli eretici, ma successivamente essi vennero sostituiti da figure “dedicate a questo scopo”, creando non pochi problemi, dal momento che i Vescovi vedevano oscurata la loro figura. Si giunse poi ad un accordo procedurale stabilito da Papa Bonifacio VIII, il quale sanciva che Vescovi e inquisitori potevano procedere parallelamente a patto di tenersi obbligatoriamente informati sui risultati raggiunti.
I Domenicani non furono i soli incaricati delle inchieste inquisitoriali: successivamente anche i Francescani, i Carmelitani e gli Eremiti di Sant’Agostino parteciparono a questa azione.
Altre figure si affiancavano all’inquisitore: i Notai, che seguivano l’inquisitore nella sua ricerca degli eretici. Essi erano indispensabili nel momento dell’interrogatorio, momento in cui prendevano appunti: loro era anche la registrazione delle sentenze e degli atti esecutivi, i mandati di comparizione; spesso scrivevano le lettere dell’inquisitore e le munivano di sigillo.
Se l’inquisitore non poteva recarsi in un certo luogo nominava un vicario: di solito un confratello. I co-inquisitori, attivi autonomamente, ma mai in contrasto con il titolare dell’officio, i soci, assistenti a cui veniva richiesto un parere, ed infine i servi, che si occupavano delle varie necessità del gruppo dell’inquisitore. Tutti erano tenuti, sotto pena di scomunica, al segreto.
Qui di seguito si riporta una breve parte tratta dal Practica Officii Inquisitionis di Bernard Gui:

Bernard Gui, nel suo Practica, traccia il ritratto dell’Inquisitore ideale. Egli scrive, dopo aver osservato che questo giudice doveva avere almeno quarant’anni: “Deve essere diligente e fervente nel suo zelo per la verità religiosa, per la salvezza delle anime e per l’estirpazione dell’eresia. Tra le difficoltà e le contrarietà deve rimanere calmo, mai cedere alla collera né all’indignazione. Egli dev’essere intrepido, affrontare il rischio sino alla morte, ma senza arretrare di fronte al pericolo, né aumentarlo a causa di un’audacia irriflessiva. Dev’essere insensibile alle preghiere e alle lusinghe di quelli che provano a conquistarlo; tuttavia non deve indurire il suo cuore al punto di rifiutare proroghe o mitigazioni di pena a seconda delle circostanze e dei luoghi… Nei casi dubbi deve essere circospetto, non dare facilmente credito a quello che sembra probabile e spesso non è vero; non deve rifiutare ostinatamente le opinioni contrarie, perché ciò che sembra improbabile finisce spesso per essere la verità. Deve ascoltare, discutere ed esaminare con tutto il suo zelo per arrivare con pazienza alla luce… Che l’amore della verità e la pietà, che devono sempre risiedere nel cuore di un giudice, brillino nel suo sguardo, in modo che le sue decisioni non possano mai sembrare dettate dalla cupidigia e dalla crudeltà”.(*)

Bernard Gui

Uno dei più famosi inquisitori conosciuti è sicuramente Bernard Gui. Riportiamo qua di seguito un breve squarcio della sua vita e del suo operato.

Bernard Gui, inquisitore della Linguadoca. Nacque nel Limousin intorno al 1261. Studiò filosofia e teologia, insegnò logica ad Albi e a Carcassonne, fu priore a Limoges (1305-1307), poi Inquisitore a Tolosa, dal 16 gennaio 1307 al 1323 o 1324. In precedenza aveva partecipato ad un’ambasciata di pace in Lombardia, in Toscana (1317-1318) e in Fiandra (1318). Finì la sua carriera come vescovo di Tuy, in Galizia (1323). E’ sepolto nella bella chiesa dei Domenicani a Tolosa. La sua opera è considerevole per l’eccezionale precisione documentaria, e si occupa delle più diverse discipline: storia, storia dell’Ordine dei Predicatori, cronache, agiografia, teologia. I suoi scritti sull’eresia – Practica officii inquisitionis (1323 circa) e Liber sententiarum inquisitionis Tolosanae – sono modelli nel genere.
La quinta parte della Practica contiene un’esposizione sistematica delle dottrine e dei riti in uso presso i catari, i valdesi, gli pseudo-apostoli, i beghini e le beghine. E’ una fonte preziosa per tutto ciò che interessa le eresie. Bernard Gui non è dunque un bruto alla maniera delle S.S., né un uomo dalla mediocre cultura, come certi individui utilizzati dal nazismo o dal comunismo. E’ un docente universitario che parla di ciò che conosce, capace di discutere da pari a pari con gli eretici più colti. Non è un duro, come provano le cifre relative alle sue sentenze. Egli ha assolto il compito di Inquisitore, come abbiamo detto, per 15 anni, dal 1308 al 1323. Durante questo lasso di tempo si è dovuto occupare di 930 casi. Non ha pronunciato nessuna condanna nel 1315, 1317, 1318 e 1320. In cinque anni un solo intervento. La condanna emessa più frequentemente (307 su 390 colpevoli) è la prigione (“immurati”). Nello stesso tempo, 139 sono stati assolti. Ci sono anche, in numero di 143, condanne a portare una o più croci (“crucesignati”); ma 132 ricevono la grazia di non portarla affatto o di non portarla più e ci sono 9 “colpevoli” che partono in pellegrinaggio. 42 vengono “abbandonati al braccio secolare”, più 3 “se essi sono ancora in vita”.(*)

Strumenti

L’inquisitore non faceva tutto di “testa sua”, ma aveva un manuale su cui basarsi.
I manuali utilizzati dall’inquisitore non sono nati di colpo, ma sono il frutto dell’esperienza e di una presa di coscienza sempre più netta dei doveri che si imponevano ai giudici.
Gli inquisitori, non erano preparati ad affrontare le eresie e tanto meno a risolverle. I manuali che furono redatti erano fatti per guidarli nel loro compito. Per questo in essi fu inserita ben presto una descrizione precisa delle eresie, la cui dottrina differiva dall’una all’altra, suggerendo che cosa convenisse chiedere all’interrogato per poter capire a quale dottrina eretica faceva parte; descrizione che era la più obiettiva possibile: occorreva permettere infatti agli inquisitori di orientarsi nella foresta delle eresie e di rintracciare con più facilità i colpevoli.
Gli inquisitori utilizzarono, dunque, l’uno o l’altro manuale redatto da qualche confratello esperto: quello di Nicolas Eymerich, o quello di Bernard Gui. Inoltre, nelle sedi dell’officio c’era un’ampia e variata documentazione: ogni sede rilevante, conservava i documenti di riconoscimento ufficiale dei poteri e delle competenze territoriali, i mandati speciali al singolo inquisitore, la serie delle nomine degli inquisitori e scritti eterogenei più o meno riguardanti l’officio.

La tortura

Questo “strumento” al servizio dell’inquisitore, era già in attuazione nel IX secolo, successivamente abbandonato, è poi stato riportato in uso con lo sviluppo del diritto romano; fu tuttavia deciso che la tortura venisse applicata senza che l’integrità fisica o la vita dell’accusato fossero messe in pericolo.
Ogni seduta durava circa mezzora, si lasciavano piccole pause per permettere all’inquisitore di fare delle domande che venivano annotate; successivamente si faceva ripetere all’accusato ciò che aveva detto sotto tortura, se esso rimangiava ciò che aveva detto si procedeva con un’altra seduta. Comunque, le dichiarazioni spontanee erano considerate più importanti di quelle ottenute sotto tortura.
Fatto rilevante, che la tortura venisse usata solo in casi estremi: quando l’imputato continuava a cambiare parere durante le deposizioni e seri indizi provavano la sua colpevolezza. Era compito dell’inquisitore ritardare il più possibile l’utilizzo della tortura.

Punizioni, grazia e condoni

Intenzione principale delle punizioni era far in modo che l’ex-eretico, ormai redento divenisse un modello di fede cattolica. Varie erano le punizioni, che dipendevano dal “grado di eresia” constatato.
Tra le punizioni che maggiormente venivano assegnate, troviamo, a partire dalle meno pesanti:

  • Le opere pie: costruire qualche santuario, riparare un monastero, costruire un ponte;
  • I doni: un calice, una casula, una somma di denaro;
  • Le ammende in denaro, in favore di un’opera di utilità pubblica: la ricerca degli eretici;
  • Le croci in stoffa;
  • L’obbligo di assistere ad una cerimonia pubblica con una o più croci su vestiti;
  • Le frustate in pubblico;
  • L’esposizione pubblica su una scala (punizione riservata al falsi testimoni), sempre con la croce;
  • I diversi tipi di pellegrinaggio;
  • L’obbligo di partecipare alle Crociate;
  • La prigione preventiva, temporanea o perpetua;
  • La degradazione, nel caso di un prete o un religioso;
  • La confisca dei beni, nel caso di un contumace;
  • Le incapacità (sospensione dei diritti);
  • L’abbandono al braccio secolare: il rogo.

Tutte le punizioni erano soggette a remissione, tanti erano i motivi validi: vecchiaia, malattia, disagi famigliari, pietà, o la richiesta di persone rispettabili. L’inquisitore tuttavia aveva il diritto di far riprendere il supplizio e/o di appesantirlo qualora il graziato venisse meno ai propri obblighi; tutto ciò senza bisogno però di riprendere il processo.
In caso che tra gli accusati, ci siano degli innocenti (succedeva frequentemente), questi venivano assolti e gli veniva consegnata una sentenza assolutoria. Nel caso che il cristiano così assolto cadesse in eresia, veniva considerato recidivo e giudicato come tale; in casi normali veniva consegnato al braccio secolare.
Di seguito riportiamo la descrizione di come venivano eseguite e cosa comportavano alcune punizioni:

  • Le flagellazioni: ci si doveva presentare: in camicia e brache, con piedi e testa nudi e si dovevano portare un cero e delle verghe. Il penitente veniva fustigato, dopo aver dichiarato di averlo meritato, dopo il Vangelo o l’offertorio; era il prete che teneva la celebrazione a eseguire la punizione.
  • Portare le croci: delle croci di stoffa rossa o gialla, venivano cucite sui vestiti in corrispondenza con il petto e le spalle, talvolta anche sul cappello o il velo delle donne. Ogni colpa aveva il suo simbolo: ai calunniatori venivano fissate delle lingue, quelli che avevano profanato il sacramento dell’eucarestia portavano delle ostie.
  • Pellegrinaggi: i pellegrinaggi in Terra Santa, erano ben visti. Non era una cosa facile fare un nel Medioevo; il viaggio costava e c’erano mille pericoli. Altri pellegrinaggi erano divisi in pellegrinaggi maggiori (Roma, Santiago de Compostela, Canterbury e Colonia) e pellegrinaggi minori (Roc-Amadour, Notre-Dame di Chartres, Saint-Denis, ecc.). In caso che i penitenti non fossero in grado di poter fare il pellegrinaggio la pena veniva convertita in opera pia.
  • La confisca dei beni: inizialmente la confisca dei beni colpiva tutta la famiglia dell’eretico, ma successivamente nel 1259 San Luigi mitiga questa punizione, dichiarando che la moglie di un eretico non poteva essere privata dei suoi beni e gli eredi di un eretico defunto che abbracciassero la vita religiosa non potevano essere privati dell’eredità.
  • Le ammende: ammende che andavano a beneficio dell’Inquisizione e della società. Esse venivano spese per edificare chiese, per l’elemosina, per la costituzione di una dote per povere vergini che rischiavano di prostituirsi. Ma soprattutto erano usate per le spese dell’Inquisizione.
  • Il rogo: generalmente i roghi venivano eretti in pubblico; venivano attuati nel corso della settimana e la cerimonia veniva eseguita fuori dalle mura della città per non rischiare di contaminarla. Su richiesta delle famiglie però la sentenza poteva svolgersi in segreto.
  • Esumazione e incenerimento dei cadaveri: morire non voleva dire far cessare l’azione dell’inquisizione. Nel 1234, il Concilio di Arles, decise che il cadavere di un eretico la cui colpa fosse stata provata, sarebbe stato esumato e bruciato, questo serviva a purificare la terra da ogni contaminazione.

Ci sono comunque anche casi in cui agli ex-eretici venivano perdonate in parte o completamente le punizioni. Gli inquisitori potevano dispensare i penitenti a portare le croci, sia grazie ad indulgenze, sia per evitare incidenti e umiliazioni che derivavano dal portarle. Talvolta la punizione delle croci veniva sostituita con un pellegrinaggio o da una multa.
Si poteva, per grazia papale chiedendo a Roma, l’attenuare la pena detentiva od ottenere addirittura la sua estinzione.
In caso di uno sposo o sposa condannati al carcere a vita, era autorizzato l’accesso del coniuge presso il partner. Valeva anche nel caso che i due coniugi fossero entrambi incarcerati.
Persino i recidivi avevano la possibilità di ricevere una diminuzione della pena. Chi ritrattava ai piedi del rogo e rinnegava i suoi errori veniva sottoposto ad un nuovo esame inquisitorio per verificare la veridicità della sua conversione. In casi veramente sospetti, l’esecuzione veniva eseguita comunque; se ci fosse stato qualche motivo per ritenere vera l’improvvisa conversione, si provava la sincerità del suo pentimento sul campo. In caso che il pentimento fosse ritenuto sincero il rogo veniva commutato con la prigione a vita.
In fine l’auto da fè, era l’atto di solenne riconciliazione degli eretici pentiti con la fede, essa aveva luogo la domenica, o durante i giorni di festa in presenza delle autorità ecclesiastiche e dei fedeli.

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