Figlio di Iacopino, Leonardino, detto Mastino, compare per la prima volta, nella documentazione a noi nota, il 17 ottobre 1254, quando nella propria contrada di residenza (Santa Maria Antica, talvolta detta “hora illorum de Scalis”) firma anch’egli come “dominus Leonardinus qui Mastinus dicitur quondam Iacopini de Scal[is]” il patto che, stipulato fra Ezzelino da Romano ed Oberto Pallavicino, fu allora sottoscritto da tutti i cives veronesi. La data di nascita di Mastino si potrebbe quindi collocare nel decennio 1230-1240. Il soprannome fu dovuto probabilmente a qualche caratteristica somatica, secondo l’uso del tempo; il nome, Leonardino, riprendeva invece quello dell’avo paterno già morto nel 1228.
Si conosce molto poco dell’attività del padre Iacopino, che in un atto del 1228 mostra esercitare attività di prestito. Sappiamo che, oltre a Leonardino, egli ebbe almeno altri tre figli, tutti politicamente attivi nella scia di costui: Federico detto Bocca, morto nel 1269 a Villafranca combattendo contro Ludovico di Sambonifacio; Guido, vescovo eletto di Verona e Alberto, il futuro signore di Verona.
Per una più concreta definizione del prestigio e del livello sociale di cui godette nell’epoca di Ezzelino questo ramo della famiglia Della Scala è importante parlare soprattutto dell’attività pubblica svolta da due fratelli di Iacopino: Federico fu podestà di Cerea nel 1248 ed ambasciatore del Comune di Verona al Pallavicino nel 1254; e Bonifacio fu giudice e ricoprì almeno per sei volte cariche pubbliche fra il 1229 e il 1249. Ambedue furono giustiziati da Ezzelino nel 1257.
Mastino non apparteneva all’antica classe feudale, semmai faceva parte di una nuova piccola nobiltà, essendo vassallo di alcuni piccoli territori del convento di Santa Maria in Organo e del Capitolo dei Canonici del Duomo. A ciò si aggiunga che egli esercitava il commercio della lana con casa, bottega e magazzino, il fondaco, nella contrada di Santa Maria Antica, quartiere della Chiavica, dove sorgeranno poi i palazzi della Signoria.
Mastino si affaccia sulla scena politica cittadina, quando Ezzelino è ancora in vita, il 28 gennaio del 1259, come “potestas Communis”, primo podestà attestato dal 1252, ovvero da quando Ezzelino aveva iniziato a servirsi di vicarii o di altri magistrati variamente denominati. La tradizione locale lo indicò sempre come un capo di origini modeste, discendente da un ramo della famiglia che professava il mestiere del mercante. Modesto era anche il suo modo di comportarsi: egli si faceva vedere tra il popolo, si sentiva un “uomo del popolo, eletto dal popolo, per il popolo”. Tuttavia non si deve pensare che Mastino conducesse una vita umile sotto la tirannia ezzeliniana: un documento accerta che egli era vassallo di Santa Maria in Organo, possedendo qualche appezzamento nel territorio di quel monastero ed inoltre fu podestà di Cerea, con alle spalle tutta la ricchezza accumulata negli anni dai commerci di lana della famiglia. Salito al potere, non si definì mai Signore ma piuttosto come Protettore della città cui, contro la sanguinaria tirannide precedente, assicurò un clima di pace e prosperità aprendo le porte ai fuoriusciti, a partire dal Conte Loisio di Sambonifacio, e relazioni amichevoli con gli Estensi e la guelfa Mantova. Per dimostrare il suo amore verso la popolazione, infatti, si fece affidare la carica di Capitano del popolo e non del Comune.
Nel 1259, per volontà unanime della popolazione, Mastino venne eletto podestà del popolo, o potestas populi, una carica in cui il popolo si identificava. Mastino divenne nel 1261 il podestà della Domus Mercatorum, il consiglio dei mercanti veronesi, di grande importanza: poteva disporre così delle Arti, che nella città detenevano, in sostanza, il potere. Mastino capì che importantissimo era l’appoggio della classe mercantile, della quale faceva parte, che produceva ricchezza e poteva fornire soldati, oltre ad avere la maggioranza nei consigli cittadini.
Il 30 novembre 1259, quando Mastino nominò i rappresentanti veronesi per la stipulazione della pace con Mantova, era presente in Consiglio uno dei capi della fazione antiezzeliniana, Turrisendo Turrisendi, rientrato in città; una prima manifestazione di quella generale, ma estremamente precaria, riconciliazione cittadina verificatasi nell’annus pacis 1260.
Nell’anno 1260 e nei seguenti cominciò a svolgersi a Verona una rivoluzione politico istituzionale che, a partire dai citati avvenimenti, si verificò con la presa del potere da parte delle arti, i cui statuti furono riformati appunto in tale periodo.
Anche al di fuori delle cariche ufficiali, Mastino conserva in questi anni una posizione politica di rilievo. Già nel marzo del 1260 appare citato nei documenti fra i primi testi, senza qualifiche di sorta, in occasione della nomina dei procuratori addetti alla vendita dei beni ex ezzeliniani. Nell’aprile del 1261, poi, fu fra i rappresentanti veronesi che durante la guerra coi fuorusciti ricevettero “in forcia et virtute Comunis et hominum Verone et partis Verone que modo tenet Veronam” il castello di Gazzo, in posizione strategica sul Tartaro.
Stando al Chronicon Veronense, Mastino divenne Capitano del Popolo nel 1262.
Nel 1262, forte del sostegno delle Corporazioni di Arti e Mestieri e dei feudatari e magnati già esclusi dalla gestione ezzeliniana del Comune controllato dai Cives, Mastino cedette la Podesteria al veneziano Andrea Zeno; così facendo ottenne dalla sempre più potente Venezia, la possibilità, per i mercanti veronesi, di commerciare e trafficare liberamente nelle acque dell’Adige.
Le lotte con i fuorusciti continuarono praticamente senza tregua anche negli anni successivi al 1262. In questo quadro, si deve a Mastino anche l’iniziativa dell’occupazione dei castelli vicentini di Lonigo, di Montebello e di Montecchio, in funzione antipadovana, presto però perduti; come pure ad egli si attribuiscono interventi militari a Trento nel 1265 e nel 1267, dato l’interesse di Verona per le vicende trentine e le buone relazioni con i Castelbarco.
Nel 1266 l’ultimo rampollo della dinastia Hohenstaufen, Corradino di Svevia, figlio dell’imperatore Corrado IV e di Elisabetta di Baviera, diede notizia di un suo imminente arrivo armato in Italia, con la scusa di ristabilire la pace tra i comuni italici, martoriati dalle continue lotte interne. Nel 1267 Mastino – che gli Annales Placentini considerano “capo effettivo della città” – rivolse quindi le sue attenzioni ad occidente, ed inviò rinforzi in Lombardia a Buoso da Dovara in guerra contro Cremona e attese l’imminente arrivo in Italia di Corradino di Svevia. Il 21 ottobre del 1267 Mastino lo accolse con grande solennità, ospitandolo per tre mesi e parallelamente dirigendo i Canonici della cattedrale verso la designazione del figlio naturale Guido al ruolo di Rettore della chiesa di San Tomio. Ma mentre a Verona si erano presentati ambasciatori da gran parte delle città venete, lombarde e persino dalla Toscana e dalla Sicilia per rendere omaggio al giovane Corradino, a Roma, papa Clemente IV, il 18 novembre del 1267, emise la scomunica verso il principe tedesco e verso tutti i ghibellini italiani che lo appoggiavano, veronesi in particolare. Il popolo di Verona ne fu profondamente colpito, ma i più se ne dimenticarono presto, “potendo ancora presenziare alle messe dominicali”. L’appoggio del principe svevo corrispondeva agli interessi globali della città, circondata da città guelfe come Mantova, Brescia, Padova, e coinvolse personalmente Mastino, che nel 1268 lasciò Verona con le sue milizie, al seguito di Corradino, il quale, una volta arrivato a Pavia e accolto con festosità, alzò Mastino al titolo di podestà della città lombarda.
Mentre Mastino era assente, la situazione a Verona era presto degenerata: il partito dei conti di Sambonifacio, con in testa il conte Lodovico, alleato con Pulcinella Delle Carceri, riuscì ad eliminare le guarnigioni scaligere di Legnago, Soave, Villafranca, Illasi, e di molti altri paesi del veronese. Si accese così un’aspra lotta fra le campagne, che coinvolse non solo i due eserciti rivali, ma anche la popolazione locale, che si vide costretta a dare asilo sia agli Scaligeri, sia ai loro avversari. In uno scontro particolarmente acceso, perse la vita Bocca dalla Scala, fratello di Mastino.
In seguito Mastino avviò negoziati di pace con Mantova e si dette alla cura della sua città, dotandola di palazzi e castelli, sviluppandone l’economia e rendendola centro di cultura attraverso l’ospitalità fornita ai maggiori intellettuali ed artisti del tempo. Dopo la drammatica eliminazione di Corrado e della dinastia staufica, un’ambasceria di Rodolfo d’Asburgo gli consegnò le insegne del nuovo Imperatore, per il tradizionale atto di omaggio del Comune e del Popolo. La circostanza inasprì ulteriormente i rapporti con il papa Nicolò IV, già risentito dal passaggio di Guido alla cattedra episcopale e dall’insediamento, nella limitrofa Sirmione, d’una folta comunità di eretici Càtari e Patareni il cui potente vescovo cataro Lorenzo, appoggiato dal Primate albigese di Tolosa Bernardo di Oliba, esercitava grande peso sulla politica locale.
Alberto, il fratello di Mastino, partì alla volta della città di Catullo con le milizie di Verona e dopo un brevissimo assedio, riuscì a farla capitolare. Gli eretici e le eretiche furono catturati e portati nelle prigioni veronesi, sotto la tutela di Mastino. Egli li tenne nelle carceri senza nuocere alla loro incolumità, trattenendoli con severità ma senza eccessive punizioni. Qualche anno dopo, sotto il capitanato di Alberto, 166 eretici furono fatti bruciare pubblicamente nell’Arena e la città fu sciolta definitivamente dalla scomunica, grazie alla riconciliazione con il papa Nicolò IV.
Gli anni dal 1269 al 1271 furono certamente i più duri per Verona e per il suo regime e la situazione non migliorò nei primi mesi del 1272.
La citata posizione di autorità di fatto di Mastino si veniva dunque confermando. Significativa in tal senso una addizione statutaria del 1271, in forza della quale “dominus Mastinus et fratres” (cioè Mastino ed i suoi fratelli, Alberto e Guido) venivano autorizzati – in deroga alla proibizione di ricostruire castelli e fortezze – a “facere levare et hedifficari locum et fortilicias zironi et castri Pyscherie ad eorum voluntatem”.
Va sottolineata la notevole importanza degli avvenimenti del 1272 per il definitivo assestamento della situazione politica veronese. Decisiva sul piano diplomatico e della sicurezza del territorio, fu l’espulsione da Mantova di Ludovico di Sambonifacio, capo dei veronesi estrinseci, e l’accordo con i Bonacolsi, signori di fatto della città lombarda: la pace con Mantova fu firmata il 5 sett. 1272, e lo stesso Mastino venne eletto insieme a Pinamonte Bonacolsi arbitro per dirimere talune pendenze rimaste aperte. Negli anni seguenti l’accordo fu confermato da ripetuti scambi di podesterie, che coinvolsero sia membri delle due famiglie e sia loro stretti collaboratori.
Nel 1274, Mastino riuscì ad imporre come podestà di Mantova il fratello Alberto, garantendo così una pace duratura ed un periodo di rapporti amichevoli tra le due città. Durante i periodi di pace, Mastino si dedicava ad abbellire e ad ingrandire i suoi palazzi e i suoi castelli, a curare l’economia e il commercio cittadino e ad invitare alla sua corte artisti e letterati da tutto il Veneto.
In quel periodo, i centri padani guelfi manifestavano la loro opposizione alla Signoria di Carlo I d’Angiò: nel 1274 assicurò la sua fedeltà ad Alfonso X di Castiglia e ligio alle prescrizioni del Papa Gregorio X, che incassò l’Esarcato di Ravenna, il Ducato di Spoleto e rinunciò al dominio del Regno di Sicilia.
Alla morte di Corradino, la gloriosa dinastia degli Hohenstaufen si estinse. Ma ben presto giunse a Verona in gran pompa un’ambasceria del nuovo imperatore germanico, Rodolfo d’Asburgo, con il vessillo imperiale e con lo stendardo personale dell’Imperatore. Egli portava il saluto del nuovo sovrano e aspettava il consueto atto di fedeltà da parte del Comune e del popolo veronese. Il Consiglio si riunì e mise nelle mani dell’ambasciatore il giuramento di fedeltà di Verona, che tornava ad essere un feudo sotto la “protezione” dell’Imperatore di Germania. Se da una parte Verona era sicura sotto il controllo germanico, i rapporti con la Chiesa erano sempre molto precari. Sulla città gravava ancora la scomunica.
A parte un fallito tentativo contro Riva del Garda (1273), negli anni seguenti la politica estera veronese fu pertanto piuttosto tranquilla, nonostante permanessero i rapporti con la pars Imperii di altre città (ad es. Milano, ed i modenesi estrinseci). A partire dal 1275 furono compiuti importanti passi avanti sul piano dell’organizzazione interna dello Stato-città di Verona e del controllo del suo territorio, certo anche per opera di Mastino; già nel 1271 si era provveduto a regolare l’amministrazione del distretto con l’elezione dei podestà ad brevia. Nel 1274 venne stipulato un importantissimo trattato commerciale con Venezia; nel 1276 si provvide poi a completare la risistemazione del corpus statutario cittadino.
Particolare rilievo assunse anche la normalizzazione della situazione ecclesiastica in Verona. Nel 1268 infatti, Guido, un fratello di Mastino, era stato eletto vescovo dal clero cittadino: il fatto testimonia il precoce interesse dei Della Scala per il controllo dei patrimoni ecclesiastici, che poi avrebbe avuto un così notevole rilievo nel consolidamento delle fortune della dinastia. Contro la città però era stata comminata la scomunica per l’alleanza con Corradino di Svevia. La situazione cominciò a cambiare dal 1273, quando Guido era ancora in vita: l’inquisitore della marca trevigiana, frate Timideo Spongati, agì infatti contro gli eretici della zona del Garda in stretta collaborazione con le autorità pubbliche. Divenuto vescovo di Verona, frate Timideo (o Temidio), insieme ad Alberto della Scala e con l’inquisitore Filippo Bonacolsi, guidò nel 1276 una spedizione militare contro gli eretici di Sirmione, sul lago di Garda. Nel 1277, investiture di beni episcopali a Mastino, al fratello ed ai nipoti, e più tardi bolle pontificie, sancirono il nuovo stato di cose, destinato a facilitare ai successori di Mastino un controllo sostanziale, se non incondizionato, sulle istituzioni ecclesiastiche locali.
Tuttavia, proprio durante quel lungo periodo di pace, il 26 ottobre del 1277 Mastino fu assassinato assieme al fedele Antonio Nogarola, da Isnardo Scaramelli da Monzambano della famiglia Pigozzo e membri della famiglia Spallino, nei pressi delle Case Mazzanti, allora degli Scaligeri, in quel passaggio stretto e scuro che fu detto poi volto Barbaro (non per il grave fatto accaduto, ma per il nome di Zaccaria Barbaro capitano veneto, che lo fece sistemare nel 1476). La storia più accreditata narra che all’origine del suo assassinio vi fosse un tentativo di mediazione da parte di Mastino fra due famiglie, quelle dei Pigozzo e degli Scaramelli, divise da feroce odio per un oltraggio recato ad una fanciulla dei Pigozzo, i quali esigevano immediata vendetta e non la pacificazione attraverso un matrimonio riparatore, come aveva proposto Mastino.
Informato della tragica notizia e abbandonata la Podesteria mantovana, che occupava dal 1272, una volta a Verona Alberto si vendicò spietatamente dei congiurati ordinando la decapitazione dei nobili, l’annegamento dei non blasonati nell’Adige e l’esilio dei superstiti, cui confiscò i beni.
Mastino non ebbe figli dalla moglie Zilia o Gilia, che morì nel 1278 e della quale si ignora il casato. Dei figli illegittimi, sicura è l’esistenza di Nicolò (1268-1296), il solo citato dal Canobbio, primo genealogista della famiglia.
Podestà di Mantova nel 1292, Nicolò nel 1294 fu armato cavaliere dallo zio Alberto nonostante fosse stato coinvolto, qualche tempo prima, in una congiura.
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